Il titolo esatto avrebbe dovuto essere: “Ragazze eccezionali fra ragazze eccezionali”. Come molti lettori avranno compreso intendo trattare una breve storia delle Ausiliarie della R.S.I.. “Ragazze eccezionali”, mi sono corretto, ma alcune di loro non erano neanche ragazze, ma poco più che adolescenti. Mentre il Paese era allo sbando più totale – e sto ricordando la capitolazione dell’8 settembre 1943 – e mentre molti uomini, soppesata furbescamente la situazione militare del momento e consci che ormai la guerra era persa, si schieravano dalla parte dei più che probabili vincitori, migliaia di ragazze non accettarono l’onta e si schierarono dalla parte che ritenevano, quella della coerenza e dell’Onore.
Valga per tutte queste eroine, la storia di una di loro: Giovanna Deiana.
Giovanna Deiana fu citata all’Ordine del Giorno del Comando generale della G.I.L., con questa motivazione: <colpita al viso durante l’incursione aerea nemica del 21 ottobre da una scheggia di bomba che le cagionava la perdita totale della vista e la poneva in grave pericolo di vita, dava prova di grande Forza morale e di vivo spirito fascista. Prima sua preoccupazione fu la sorte dei fratellini che ella, con gesto violento, allontanava dal pericolo, risparmiando loro forse il suo stesso destino. Pura espressione della nostra giovinezza italica ed esempio fulgido di amor patrio, sebbene straziata dal dolore che le produceva l’orribile ferita, con lo stoico coraggio si dichiarava lieta che la sorte avesse scelto lei per la dura prova, risparmiando forse un soldato o un obiettivo militare. Desidero che il Duce sappia – ella diceva – che io non piangerò e che tutto soffrirà per il suo amore e per quello della Patria>.
Questo sarebbe stato già tanto per molti uomini. Giovanna Deiana, però, mostrò ancor più la sua determinazione e la sua fede; così scrisse della sua fulgida esperienza (da Riaffermazione del 1996).
<era il mattino del 30 settembre 1944. Il Federale di Verona, maggiore Sioli, mi aveva gentilmente concesso la possibilità di usufruire di una Topolino e di un autista per potermi recare al Quartier Generale del Duce a Gargnano, dove era la sede del Governo fascista. Nessuno conosceva il motivo di questo mio desiderio di recarmi dal Duce, per poter parlare personalmente con Lui: un desiderio che aveva tormentato il mio spirito dal maggio precedente e che finalmente quel mattino di settembre cominciava a delinearsi realizzabile. Già dal febbraio 1944 avevo appreso da una trasmissione radiofonica, che si chiamava “La Voce del Partito”, la possibilità di fare domanda di arruolamento in un Servizio Ausiliario Femminile. Niente di meglio per soddisfare l’ansia che sentivo in me, soprattutto dopo l’8 settembre 1943, di fare qualcosa di più per la Patria. E per questo scrissi. Tutto questo per il mio stato fisico di invalida di guerra. Era troppo poco per la mia volontà di fare attivamente e concretamente; non ignoravo, ad esempio, che altri invalidi ciechi erano disponibili e attivi agli aerofoni per la segnalazione di arrivi di aerei nemici. Ero perciò disposta, quel mattino di settembre 1944, a superare tutti gli ostacoli per arrivare alla presenza del Duce ed esprimere a Lui il mio fermo proposito di agire e di diventare Ausiliaria. Circostanze favorevoli, come l’incontro con la Medaglia d’Oro Carlo Borsani, presidente dell’Associazione Nazionale Mutilati, che avevo conosciuto qualche mese prima, fecero sì che il giorno dopo ero già iscritta nella lista delle persone che il Duce avrebbe ricevuto nella mattinata del giorno successivo, il 10 ottobre 1944. Ero accompagnata dalla signorina Lenotti, anziana iscritta al Partito. Benito Mussolini mi ricevette alle 14 di quel giorno. Era appena suonato l’allarme aereo, ma questo non aveva per nulla turbato il ritmo delle udienze. Quando dalla grande sala di attesa prendemmo il lungo corridoio che portava fino alla stanza del Duce, l’ultima a sinistra, il mio cuore accelerò i palpiti. Ero stata avvertita dal segretario del partito Alessandro Pavolini, che in anticamera c’erano anche delle signore ad attendere. Difatti quando il Duce ci vide apparire nel vano della porta, venendoci incontro, si scusò di averci fatto attendere. Questa sua gentilezza e comprensione calmò il mio cuore e mi mise tranquilla. Per poco, tuttavia; perché il Duce guardandomi mi riconobbe, mi abbracciò teneramente e mi disse: <addio, Deiana, ricordo il coraggio dimostrato da te nel tragico frangente del tuo sacrificio>. Non metto in evidenza queste Sue parole per vezzo di esibizione, ma per sottolineare quanto la mente di quest’Uomo, occupata e preoccupata da così gravi pensieri a livello mondiale, sapesse chinarsi verso situazioni così microscopiche come la mia. Domandò notizie del fascio di Verona; alla mia attenzione di ragazza dette l’impressione di essere assetato di notizie al di fuori e spontanee, come le nostre potevano essere. Poi all’improvviso disse: <dimma, Deiana, cosa posso fare per te?>. Come sempre lungimirante, anche nelle piccole cose, seppe facilitarmi la vita. E risposi che volevo essere anch’io una Ausiliaria, come tante altre donne lo erano. La Sua risposta fu laconica, quanto commossa: <bene,bene. Domani parlerò al generale Nacchiarelli>. Tornai a Verona la sera stessa, con l’animo invaso da una delle più grandi emozioni della mia vita. Due giorni dopo iniziò un corso provinciale a Verona e qualche tempo dopo la Comandante della S.A.F. di Verona, Elena Ranzi, mi comunicò che dovevo partire per Como, dove avrei frequentato dal 6 gennaio 1945, il V Corso Nazionale Fiamma. Conclusi con il mio giuramento individuale di fronte alla Comandante Maria Teresa Feliciani il giorno 9 febbraio. Le motivazioni del mio arruolamento? Credo di averle sufficientemente spiegate: in quei momenti di altissima tensione spirituale i blablabla passavano in ultima linea, anzi erano addirittura inesistenti.
Bisognava lavorare, come sempre, come credo ancora lavoro, sentendomi sempre parte attiva di questo connettivo sociale>.
Giovanna Deiana
Breve storia del Servizio Ausiliario Femminile (S.A.F.).
Con l’avvento della Seconda Guerra mondiale si verificò una straordinaria presenza delle donne in U.R.S.S., in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, i Germania. Anche in Italia si vennero a costituire, dal 1942, i servizi ausiliari della Regia Aeronautica con un organico iniziale di 2650 unità impiegate come Servizio Scoperta e Segnalazione Aerei (S.S.S.A.).
La necessità e l’opportunità di impiegare donne nei servizi ausiliari di guerra, in maniera più massiccia si presentò con la costituzione della R.S.I..
Su La Stampa del 13 gennaio 1944, Concetto Pettinato (1) scrisse un articolo: “Breve discorso alle donne d’Italia”, un appello rivolto alle italiane affinché accorressero in difesa della Patria.
La risposta fu immediata: <a Milano, a Piazza San Sepolcro, circa 600 giovani donne si radunarono spontaneamente e ribadirono la loro volontà di partecipare in modo attivo al conflitto chiedendo di essere arruolate. Situazioni analoghe si verificarono in altri centri della Repubblica Sociale> (Associazione Culturale S.A.F., NovAntico Editore).
Divenne una marea montante: migliaia di donne esigevano di partecipare all’attività bellica, erano operaie, studentesse, come le universitarie di Venezia che si arruolarono in massa. Riporta il testo sopra indicato: <dopo una serie di perplessità dovuta al fatto, nuovo per l’Italia, di un arruolamento volontario femminile, il 18/4/1944 il Decreto legislativo del Duce n° 447, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1 agosto 1944, istituisce il Servizio Ausiliario Femminile della Repubblica Sociale Italiana (…). Per tutto il periodo della R.S.I. Piera Gatteschi Fondelli sarà il Comandante Generale del S.A.F., equiparato al grado di Generale (unico esempio in Europa), Vice Comandante sarà nominata Cesaria Pancheri col grado di Colonnello>.
Requisito essenziale per le volontarie – la cui età era compresa tra i diciotto e i quarantacinque anni – era l’indiscussa moralità. <il Regolamento del S.A.F. è alquanto severo: gonne sotto il ginocchio, vietati il fumo e i cosmetici, proibito uscire a spasso con i soldati ecc.>.
Lo spirito che animava queste giovani donne viene testimoniato da quanto scritto su “Donne in grigioverde”, organo del S.A.F. del 18 dicembre 1944, dove, fra l’altro si stabilisce: <si allontanino da noi le esaltate che non conoscono i limiti di una disciplina e giocano alla guerra con pantaloni e mitra. La nostra forza sta nella femminilità che si irrigidisce nel dovere e si trasforma in azioni>.
L’uso delle armi era consentito solo in caso di legittima difesa. Nessuna disparità di trattamento rispetto a quello riservato agli uomini; <le ricompense> recitava il D.M. <sono le stesse in vigore per le Forze Armate e per la G.N.R.; lo stesso trattamento quanto a punizioni e a provvedimenti disciplinari>. Pur nella rigidità della disciplina e pur nel corso negativo della guerra, la risposta delle donne fu sorprendente: <il numero delle ausiliarie della R.S.I. operanti a fine guerra si aggira sulle 10.000 unità>. In altre parole le aspiranti al S.A.F. risultarono numericamente superiori a quanto stabilito dal bando.
Ormai le ausiliarie sono presenti in quasi tutte le formazioni militari della R.S.I., comprese quelle dislocate in Germania e dimostrano di sapersi far valere in qualunque circostanza e in qualsiasi luogo.
Centinaia furono le Ausiliarie cadute durante i bombardamenti e mitragliamenti, martoriate e uccise nelle imboscate e negli attentati. Numerose furono le citazioni, gli encomi e le ricompense al valore, molto spesso alla memoria.
Al termine del conflitto l’odio dei partigiani, autoproclamatisi vincitori di una guerra che senza il massiccio intervento americano non avrebbero mai vinto, si accanisce contro le Ausiliarie con una ferocia spesso disumana. Molte pagano con la vita la loro partecipazione alla R.S.I. (non di rado dopo essere state stuprate), altre vengono rapate e fatte sfilare per le strade fra il ludibrio della feccia urlante, alcune denudate e frustate, altre ripetutamente violentate, in un’esplosione di odio bestiale che non ha e non può avere alcuna giustificazione. Le meno sfortunate, che solo il caso sottrae al supplizio e alla morte, finiscono nei vari campi di concentramento come il P.W.E. 334 di Scandicci (Firenze) tenuto dagli americani, o in quelli tenuti dagli italiani, questi ultimi definiti “di rieducazione morale”: espressione davvero paradossale se si pensa che intanto, qua e là per l’Italia, dilaga la prostituzione fra gli invasori angloamericani di ogni razza e colore. Da quei campi di concentramento le Ausiliarie uscirono solo dopo mesi e mesi di prigionia, le ultime nel gennaio 1946 (…). Il S.A.F. è la formazione militare che, in proporzione ai suoi effettivi, ha pagato il più alto tributo di sangue alla causa della R.S.I.>.
Secondo l’Associazione culturale S.A.F., il numero delle Ausiliarie cadute sia in conseguenza di vicende belliche che uccise a guerra finita dovrebbe avvicinarsi alle duemila unità. La cifra esatta non è nota perché molte di loro furono date come disperse o uccise e sepolte in fosse comuni o, comunque, sparite nel nulla.
Come terminare questo ricordo di tante eroine? L’unico sistema è impegnarmi a tornare sull’argomento in uno dei prossimi articoli.
_____________________
1) Concetto Pettinato, non fascista, era fuggito in Svizzera, ma disgustato per la fuga del Re e per il voltafaccia di Badoglio, rientrò in Italia per affiancare il Governo della R.S.I. Gli venne affidata la direzione de La Stampa e fu celebre il suo articolo “Se ci sei batti un colpo” con il quale esortava il Governo a mettere in pratica la socializzazione.
A guerra finita Pettinato incorse, come gli altri direttori di giornali, nelle reti del’epurazione: Pettinato (La Stampa”), Bruno Spampanato (“Il Messaggero”), come l’inviato del “Corriere della Sera” Luigi Romersa, furono condannati a pene detentive fra i dodici e i venti anni.
Valga per tutte queste eroine, la storia di una di loro: Giovanna Deiana.
Giovanna Deiana fu citata all’Ordine del Giorno del Comando generale della G.I.L., con questa motivazione: <colpita al viso durante l’incursione aerea nemica del 21 ottobre da una scheggia di bomba che le cagionava la perdita totale della vista e la poneva in grave pericolo di vita, dava prova di grande Forza morale e di vivo spirito fascista. Prima sua preoccupazione fu la sorte dei fratellini che ella, con gesto violento, allontanava dal pericolo, risparmiando loro forse il suo stesso destino. Pura espressione della nostra giovinezza italica ed esempio fulgido di amor patrio, sebbene straziata dal dolore che le produceva l’orribile ferita, con lo stoico coraggio si dichiarava lieta che la sorte avesse scelto lei per la dura prova, risparmiando forse un soldato o un obiettivo militare. Desidero che il Duce sappia – ella diceva – che io non piangerò e che tutto soffrirà per il suo amore e per quello della Patria>.
Questo sarebbe stato già tanto per molti uomini. Giovanna Deiana, però, mostrò ancor più la sua determinazione e la sua fede; così scrisse della sua fulgida esperienza (da Riaffermazione del 1996).
<era il mattino del 30 settembre 1944. Il Federale di Verona, maggiore Sioli, mi aveva gentilmente concesso la possibilità di usufruire di una Topolino e di un autista per potermi recare al Quartier Generale del Duce a Gargnano, dove era la sede del Governo fascista. Nessuno conosceva il motivo di questo mio desiderio di recarmi dal Duce, per poter parlare personalmente con Lui: un desiderio che aveva tormentato il mio spirito dal maggio precedente e che finalmente quel mattino di settembre cominciava a delinearsi realizzabile. Già dal febbraio 1944 avevo appreso da una trasmissione radiofonica, che si chiamava “La Voce del Partito”, la possibilità di fare domanda di arruolamento in un Servizio Ausiliario Femminile. Niente di meglio per soddisfare l’ansia che sentivo in me, soprattutto dopo l’8 settembre 1943, di fare qualcosa di più per la Patria. E per questo scrissi. Tutto questo per il mio stato fisico di invalida di guerra. Era troppo poco per la mia volontà di fare attivamente e concretamente; non ignoravo, ad esempio, che altri invalidi ciechi erano disponibili e attivi agli aerofoni per la segnalazione di arrivi di aerei nemici. Ero perciò disposta, quel mattino di settembre 1944, a superare tutti gli ostacoli per arrivare alla presenza del Duce ed esprimere a Lui il mio fermo proposito di agire e di diventare Ausiliaria. Circostanze favorevoli, come l’incontro con la Medaglia d’Oro Carlo Borsani, presidente dell’Associazione Nazionale Mutilati, che avevo conosciuto qualche mese prima, fecero sì che il giorno dopo ero già iscritta nella lista delle persone che il Duce avrebbe ricevuto nella mattinata del giorno successivo, il 10 ottobre 1944. Ero accompagnata dalla signorina Lenotti, anziana iscritta al Partito. Benito Mussolini mi ricevette alle 14 di quel giorno. Era appena suonato l’allarme aereo, ma questo non aveva per nulla turbato il ritmo delle udienze. Quando dalla grande sala di attesa prendemmo il lungo corridoio che portava fino alla stanza del Duce, l’ultima a sinistra, il mio cuore accelerò i palpiti. Ero stata avvertita dal segretario del partito Alessandro Pavolini, che in anticamera c’erano anche delle signore ad attendere. Difatti quando il Duce ci vide apparire nel vano della porta, venendoci incontro, si scusò di averci fatto attendere. Questa sua gentilezza e comprensione calmò il mio cuore e mi mise tranquilla. Per poco, tuttavia; perché il Duce guardandomi mi riconobbe, mi abbracciò teneramente e mi disse: <addio, Deiana, ricordo il coraggio dimostrato da te nel tragico frangente del tuo sacrificio>. Non metto in evidenza queste Sue parole per vezzo di esibizione, ma per sottolineare quanto la mente di quest’Uomo, occupata e preoccupata da così gravi pensieri a livello mondiale, sapesse chinarsi verso situazioni così microscopiche come la mia. Domandò notizie del fascio di Verona; alla mia attenzione di ragazza dette l’impressione di essere assetato di notizie al di fuori e spontanee, come le nostre potevano essere. Poi all’improvviso disse: <dimma, Deiana, cosa posso fare per te?>. Come sempre lungimirante, anche nelle piccole cose, seppe facilitarmi la vita. E risposi che volevo essere anch’io una Ausiliaria, come tante altre donne lo erano. La Sua risposta fu laconica, quanto commossa: <bene,bene. Domani parlerò al generale Nacchiarelli>. Tornai a Verona la sera stessa, con l’animo invaso da una delle più grandi emozioni della mia vita. Due giorni dopo iniziò un corso provinciale a Verona e qualche tempo dopo la Comandante della S.A.F. di Verona, Elena Ranzi, mi comunicò che dovevo partire per Como, dove avrei frequentato dal 6 gennaio 1945, il V Corso Nazionale Fiamma. Conclusi con il mio giuramento individuale di fronte alla Comandante Maria Teresa Feliciani il giorno 9 febbraio. Le motivazioni del mio arruolamento? Credo di averle sufficientemente spiegate: in quei momenti di altissima tensione spirituale i blablabla passavano in ultima linea, anzi erano addirittura inesistenti.
Bisognava lavorare, come sempre, come credo ancora lavoro, sentendomi sempre parte attiva di questo connettivo sociale>.
Giovanna Deiana
Breve storia del Servizio Ausiliario Femminile (S.A.F.).
Con l’avvento della Seconda Guerra mondiale si verificò una straordinaria presenza delle donne in U.R.S.S., in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, i Germania. Anche in Italia si vennero a costituire, dal 1942, i servizi ausiliari della Regia Aeronautica con un organico iniziale di 2650 unità impiegate come Servizio Scoperta e Segnalazione Aerei (S.S.S.A.).
La necessità e l’opportunità di impiegare donne nei servizi ausiliari di guerra, in maniera più massiccia si presentò con la costituzione della R.S.I..
Su La Stampa del 13 gennaio 1944, Concetto Pettinato (1) scrisse un articolo: “Breve discorso alle donne d’Italia”, un appello rivolto alle italiane affinché accorressero in difesa della Patria.
La risposta fu immediata: <a Milano, a Piazza San Sepolcro, circa 600 giovani donne si radunarono spontaneamente e ribadirono la loro volontà di partecipare in modo attivo al conflitto chiedendo di essere arruolate. Situazioni analoghe si verificarono in altri centri della Repubblica Sociale> (Associazione Culturale S.A.F., NovAntico Editore).
Divenne una marea montante: migliaia di donne esigevano di partecipare all’attività bellica, erano operaie, studentesse, come le universitarie di Venezia che si arruolarono in massa. Riporta il testo sopra indicato: <dopo una serie di perplessità dovuta al fatto, nuovo per l’Italia, di un arruolamento volontario femminile, il 18/4/1944 il Decreto legislativo del Duce n° 447, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1 agosto 1944, istituisce il Servizio Ausiliario Femminile della Repubblica Sociale Italiana (…). Per tutto il periodo della R.S.I. Piera Gatteschi Fondelli sarà il Comandante Generale del S.A.F., equiparato al grado di Generale (unico esempio in Europa), Vice Comandante sarà nominata Cesaria Pancheri col grado di Colonnello>.
Requisito essenziale per le volontarie – la cui età era compresa tra i diciotto e i quarantacinque anni – era l’indiscussa moralità. <il Regolamento del S.A.F. è alquanto severo: gonne sotto il ginocchio, vietati il fumo e i cosmetici, proibito uscire a spasso con i soldati ecc.>.
Lo spirito che animava queste giovani donne viene testimoniato da quanto scritto su “Donne in grigioverde”, organo del S.A.F. del 18 dicembre 1944, dove, fra l’altro si stabilisce: <si allontanino da noi le esaltate che non conoscono i limiti di una disciplina e giocano alla guerra con pantaloni e mitra. La nostra forza sta nella femminilità che si irrigidisce nel dovere e si trasforma in azioni>.
L’uso delle armi era consentito solo in caso di legittima difesa. Nessuna disparità di trattamento rispetto a quello riservato agli uomini; <le ricompense> recitava il D.M. <sono le stesse in vigore per le Forze Armate e per la G.N.R.; lo stesso trattamento quanto a punizioni e a provvedimenti disciplinari>. Pur nella rigidità della disciplina e pur nel corso negativo della guerra, la risposta delle donne fu sorprendente: <il numero delle ausiliarie della R.S.I. operanti a fine guerra si aggira sulle 10.000 unità>. In altre parole le aspiranti al S.A.F. risultarono numericamente superiori a quanto stabilito dal bando.
Ormai le ausiliarie sono presenti in quasi tutte le formazioni militari della R.S.I., comprese quelle dislocate in Germania e dimostrano di sapersi far valere in qualunque circostanza e in qualsiasi luogo.
Centinaia furono le Ausiliarie cadute durante i bombardamenti e mitragliamenti, martoriate e uccise nelle imboscate e negli attentati. Numerose furono le citazioni, gli encomi e le ricompense al valore, molto spesso alla memoria.
Al termine del conflitto l’odio dei partigiani, autoproclamatisi vincitori di una guerra che senza il massiccio intervento americano non avrebbero mai vinto, si accanisce contro le Ausiliarie con una ferocia spesso disumana. Molte pagano con la vita la loro partecipazione alla R.S.I. (non di rado dopo essere state stuprate), altre vengono rapate e fatte sfilare per le strade fra il ludibrio della feccia urlante, alcune denudate e frustate, altre ripetutamente violentate, in un’esplosione di odio bestiale che non ha e non può avere alcuna giustificazione. Le meno sfortunate, che solo il caso sottrae al supplizio e alla morte, finiscono nei vari campi di concentramento come il P.W.E. 334 di Scandicci (Firenze) tenuto dagli americani, o in quelli tenuti dagli italiani, questi ultimi definiti “di rieducazione morale”: espressione davvero paradossale se si pensa che intanto, qua e là per l’Italia, dilaga la prostituzione fra gli invasori angloamericani di ogni razza e colore. Da quei campi di concentramento le Ausiliarie uscirono solo dopo mesi e mesi di prigionia, le ultime nel gennaio 1946 (…). Il S.A.F. è la formazione militare che, in proporzione ai suoi effettivi, ha pagato il più alto tributo di sangue alla causa della R.S.I.>.
Secondo l’Associazione culturale S.A.F., il numero delle Ausiliarie cadute sia in conseguenza di vicende belliche che uccise a guerra finita dovrebbe avvicinarsi alle duemila unità. La cifra esatta non è nota perché molte di loro furono date come disperse o uccise e sepolte in fosse comuni o, comunque, sparite nel nulla.
Come terminare questo ricordo di tante eroine? L’unico sistema è impegnarmi a tornare sull’argomento in uno dei prossimi articoli.
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1) Concetto Pettinato, non fascista, era fuggito in Svizzera, ma disgustato per la fuga del Re e per il voltafaccia di Badoglio, rientrò in Italia per affiancare il Governo della R.S.I. Gli venne affidata la direzione de La Stampa e fu celebre il suo articolo “Se ci sei batti un colpo” con il quale esortava il Governo a mettere in pratica la socializzazione.
A guerra finita Pettinato incorse, come gli altri direttori di giornali, nelle reti del’epurazione: Pettinato (La Stampa”), Bruno Spampanato (“Il Messaggero”), come l’inviato del “Corriere della Sera” Luigi Romersa, furono condannati a pene detentive fra i dodici e i venti anni.
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