Le eccezioni ai tagli alla politica per far incassare i top manager di Palazzo Chigi. A Patroni Griffi 378mila euro. Leggi tutte le cifre
La chiamano spending review, ma quando deve toccare i piani alti dei palazzi del Potere non attacca. Perché il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi, guadagna 378mila euro l’anno, sommando al ricco stipendio governativo quello (altrettanto ricco) dell’amministrazione pubblica dalla quale proviene (malgrado sia in aspettativa da 2 anni). Altrettanto guadagna, per lo stesso motivo, Antonio Catricalà, viceministro per lo Sviluppo Economico. Poi si scopre che i ministri non parlamentari hanno trovato il modo per guadagnare (legittimamente) più del dovuto. Mentre ventisei dirigenti della presidenza del Consiglio guadagnano più di 200mila euro l’anno, e ognuno dei circa cento dirigenti di prima fascia di Palazzo Chigi, ne guadagna in media 188mila.
Leggi generose - Il decreto legge 54 del 21 maggio 2013, scritto e voluto proprio da Patroni Griffi, sancisce il principio della “non cumulabilità del trattamento stipendiale” dei ministri che sono anche parlamentari. Cioè: chi ha un seggio da deputato o senatore e si vede anche assegnare la guida di un dicastero, deve scegliere tra la paga di parlamentare (135mila euro) e quella di ministro (63mila). Hanno preferito tutti la prima, più cospicua. C’è però un criterio di cortesia: i ministri non parlamentari, che dovrebbero guadagnare di meno, hanno diritto ad avere un trattamento pari a quello dei colleghi. E così lo stipendio sale per tutti.
Autostima - Ma Patroni Griffi, nel varare il decreto, ha trovato il modo per curare la propria posizione. E’ Federico Fubini de la Repubblica a fare i conti in tasca al sottosegretario. Patroni Griffi è ben attento a mantenere in vigore due leggi del 1980 e del 1993, che permettono agli uomini del governo di conservare lo stipendio dell’amministrazione pubblica dalla quale sono distaccati. Il viceministro è presidente diSezione del consiglio di Stato in congedo da due anni. Come lui, anche Catricalà è presidente di Sezione del Consiglio di Stato (ma non esercita la sua funzione da 12 anni). Ebbene, i due non solo percepiscono regolarmente lo stipendio (e che stipendio: 243mila euro) per un lavoro che, di fatto, non svolgono più, guadagnando pure scatti di anzianità e relativi adeguamenti contrattuali. Ma lo sommano all’emolumento da ministri.
Bravi tutti - Se i ministri, pur in questi anni di austerity e (presunti) tagli ai costi della politica, sono attenti a non ledere eccessivamente il proprio 740, i dirigenti dei palazzi romani si trovano ancora meglio tutelati. I super travet di Palazzo Chigi si sono visti riconosciuti tutti premi di risultato che ne raddoppiano lo stipendio, arrivando a una paga media di 188mila euro con una trentina di superefficienti che superano la soglia dei 200mila euro. Insomma: cento per cento dei funzionari premiati. In Gran Bretagna solo il 25 per cento dei dirigenti pubblici può ottenere il premio di produttività. Ma si sa che la stirpe italica dei travet è molto più brava…
La chiamano spending review, ma quando deve toccare i piani alti dei palazzi del Potere non attacca. Perché il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi, guadagna 378mila euro l’anno, sommando al ricco stipendio governativo quello (altrettanto ricco) dell’amministrazione pubblica dalla quale proviene (malgrado sia in aspettativa da 2 anni). Altrettanto guadagna, per lo stesso motivo, Antonio Catricalà, viceministro per lo Sviluppo Economico. Poi si scopre che i ministri non parlamentari hanno trovato il modo per guadagnare (legittimamente) più del dovuto. Mentre ventisei dirigenti della presidenza del Consiglio guadagnano più di 200mila euro l’anno, e ognuno dei circa cento dirigenti di prima fascia di Palazzo Chigi, ne guadagna in media 188mila.
Leggi generose - Il decreto legge 54 del 21 maggio 2013, scritto e voluto proprio da Patroni Griffi, sancisce il principio della “non cumulabilità del trattamento stipendiale” dei ministri che sono anche parlamentari. Cioè: chi ha un seggio da deputato o senatore e si vede anche assegnare la guida di un dicastero, deve scegliere tra la paga di parlamentare (135mila euro) e quella di ministro (63mila). Hanno preferito tutti la prima, più cospicua. C’è però un criterio di cortesia: i ministri non parlamentari, che dovrebbero guadagnare di meno, hanno diritto ad avere un trattamento pari a quello dei colleghi. E così lo stipendio sale per tutti.
Autostima - Ma Patroni Griffi, nel varare il decreto, ha trovato il modo per curare la propria posizione. E’ Federico Fubini de la Repubblica a fare i conti in tasca al sottosegretario. Patroni Griffi è ben attento a mantenere in vigore due leggi del 1980 e del 1993, che permettono agli uomini del governo di conservare lo stipendio dell’amministrazione pubblica dalla quale sono distaccati. Il viceministro è presidente diSezione del consiglio di Stato in congedo da due anni. Come lui, anche Catricalà è presidente di Sezione del Consiglio di Stato (ma non esercita la sua funzione da 12 anni). Ebbene, i due non solo percepiscono regolarmente lo stipendio (e che stipendio: 243mila euro) per un lavoro che, di fatto, non svolgono più, guadagnando pure scatti di anzianità e relativi adeguamenti contrattuali. Ma lo sommano all’emolumento da ministri.
Bravi tutti - Se i ministri, pur in questi anni di austerity e (presunti) tagli ai costi della politica, sono attenti a non ledere eccessivamente il proprio 740, i dirigenti dei palazzi romani si trovano ancora meglio tutelati. I super travet di Palazzo Chigi si sono visti riconosciuti tutti premi di risultato che ne raddoppiano lo stipendio, arrivando a una paga media di 188mila euro con una trentina di superefficienti che superano la soglia dei 200mila euro. Insomma: cento per cento dei funzionari premiati. In Gran Bretagna solo il 25 per cento dei dirigenti pubblici può ottenere il premio di produttività. Ma si sa che la stirpe italica dei travet è molto più brava…
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