Tra i documenti custoditi negli Archivi nazionali britannici di Kew Gardens la dichiarazione choc rilasciata dal poeta dei “Cantos” all’agente dell’Fbi Frank L. Amprim, il 3 maggio del 1945. E una lettera dell'ottobre del '45 scritta da Pound in terza persona dal campo di prigionia di Metato (Pisa)
di Alessandro Mezzena Lona
La deposizione di Pound.
«Ritengo che Hitler fosse un santo e che non desiderasse alcunché per se stesso. A mio parere, egli è stato raggirato sull’antisemitismo, la qual cosa lo ha rovinato. Questo è stato il suo errore». Ezra Pound, il grande poeta dei “Cantos”, era seduto di fronte a Frank L. Amprim, quando pronunciò queste parole. Che ancora oggi mettono i brividi. L’8 maggio del 1945 lo scrittore americano, forse la più limpida e innovativa voce poetica del ’900, arrestato cinque giorni prima da due partigiani vicino a Rapallo, aveva chiesto di poter rilasciare un supplemento di deposizione all’agente speciale dell Fbi. Da lui era già stato interrogato in due occasioni, il 6 e 7 maggio. A quei colloqui era presente pure Ramon Arrizabalaga del Counter Intelligence Corps, il controspionaggio militare.
Le carte che contengono quel “supplemento di deposizione” choc, finora, erano sempre rimaste chiuse negli Archivi nazionali britannici di Kew Gardens. Messe adesso a disposizione degli storici, degli studiosi, sono state ritrovate dal ricercatore Mario J. Cereghino, autore di libri di grande successo come “Il golpe inglese”, scritto con Giovanni Fasanella, e “Lupara nera”, firmato con Giuseppe Casarrubea, e collaboratore del “Piccolo”.
Pound si era trasferito a vivere in Italia negli anni Trenta. E vi era rimasto fino al suo arresto, il 3 maggio del 1945. E proprio mentre il fascismo, il nazismo cominciavano a gonfiare i muscoli, a sfidare le democrazie per imporre un nuovo ordine, lui fantasticava su un tempo e un luogo in cui fosse possibile riformare i rapporti economici, trasformare le relazioni interpersonali, estirpare il cancro dell’usura. Insomma, si illudeva che un giorno sarebbe stato possibile mettere un freno alle speculazioni capitalistiche.
Quel sogno, piano piano, sembrò incarnarsi nel fascismo. E il poeta si illuse che Benito Mussolini fosse l’uomo capace di dare corpo all’«affare onesto» che cullava dentro di sé. Iniziò ad attaccare gli Stati Uniti dai microfoni dell’Eiar, la radio del regime. Accusò il presidente Franklin Delano Roosvelt di aver tradito la Costituzione americana. Di essersi imbarcato in una guerra sbagliata solo per assecondare gli interessi del capitalismo.
Non poteva pensare di passarla liscia. Infatti, il 3 maggio del 1945 due partigiani lo vennero a prendere. Pound, con in tasca il volume di Confucio che stava traducendo, dopo lunghi interrogatori fu trasferito al Disciplinary Training Center vicino a Pisa. Lì, in attesa di istruzioni da Washington, lo chiusero dentro una gabbia. Come fosse un pazzo pericoloso, o un animale. Costringendolo a dormire sul cemento, senza potersi riparare dal sole cocente, o dalla pioggia, di giorno. Senza poter sfuggire alle luci fortissime che illuminavano la notte. Il 18 novembre lo trasferirono in America. Dichiarandolo schizofrenico, paranoico, impossibilitato ad affrontare un processo, lo rinchiusero nel manicomio criminale St. Elizabeth. Togliendogli la possibilità di spiegare.
Prima che il poeta dei “Cantos” (che Giovanni Raboni ha definito uno dei capolavori del ’900 a cui non possiamo rinunciare) potesse rivedere la luce del giorno da uomo libero sarebbero trascorsi dodici lunghi anni. Ma c’è da pensare che se queste carte ritrovate da Cereghino fossero circolate nelle redazioni dei giornali, e pubblicate magari accanto alle testimonianze di chi era sopravvissuto al massacro dei lager nazisti, Pound avrebbe rischiato una condanna ben più pesante.
Nel corso di quel “supplemento di deposizione”, Ezra Loomis Pound, residente a Sant’Ambrogio 60, «un piccolo villaggio vicino a Rapallo», diceva di aver voluto rilasciare una dichiarazione spontanea. «Sono stato messo al corrente da Amprim che questa potrà essere utilizzata contro di me nel corso di un procedimento giudiziario». Raccontava che mentre le truppe di Hitler invadevano la Danimarca, si era incontrato con un tedesco, il barone Dinklage, al circolo del tennis di Rapallo. Questi gli aveva offerto di collaborare alla radio, aggiungendo: «Verrà pagato bene». Ma il poeta si era sottratto. Non voleva essere, o sembrare di essere, controllato da nessuno.
«Mi sono sempre battuto contro la censura - sosteneva davanti all’agente speciale dell’Fbi -. Anche in tempo di guerra, uno ha il diritto di criticare le cause scatenanti delle guerre in cui l’umanità è stata trascinata. E’ una situazione che perdura. Ovviamente, nessuno ha il diritto di fornire al nemico informazioni di natura militare. Ad esempio, dopo l’ingresso degli Stati Uniti nel conflitto mondiale, ho criticato il presidente Roosvelt perché ritenevo che fosse stato informato male e in maniera incompleta. Roosvelt subiva condizionamenti errati».
Pound sottolineava con forza: «Non sono un antisemita. Io distinguo tra l’usuraio ebreo e il giudeo che si guadagna onestamente da vivere». Ma subito dopo si lanciava nell’improbabile difesa del fascismo e del nazismo. Arrivando a sostenere che Hitler fosse un santo. E continuava: «Quando uno vede il caos in cui è precipitata l’Italia in seguito alla cacciata di Mussolini, si può capire perché c’era gente che credeva nei suoi sforzi».
Il poeta si diceva convinto che la «politica di Winston Churcill è caratterizzata dalla massima ingiustizia, rafforzata da una brutalità inaudita. Basti vedere la sua strategia di bombardare gli obiettivi non militari».
Aggiungeva ancora: «Tra le persone che raggiunsero l’Italia settentrionale nell’autunno del 1943, per aderire alla Rsi, vi era gente onesta che non ce la faceva proprio a sopportare il lerciume di Badoglio. E’ probabile che la resa agli Alleati abbia fruttato del denaro a Badoglio. Sono stati stampati i documenti delle sue ricevute. Esistono inoltre copie di lettere manoscritte in merito ai debiti esteri di Vittorio Emanuele. Queste lettere sono state scritte da Vittorio Emanuele in persona».
Fonte art.
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