Art del camerata Marco Affatigato.
Oggi intendo snocciolarvi alcuni dati crudi, impietosi e quotidiani che provengono dai conti pubblici e dall’economia che sono la chiara e manifesta dimostrazione della fine di un ciclo e del fallimento di un modello di sviluppo che, dopo avere garantito una lunga fase di progresso e benessere, sembra essere definitivamente giunto al capolinea. E i numeri sono fedeli e veritieri, perché raccontano, senza il filtro della demagogia, la sostanza delle cose. Prendiamo ad esempio il grafico pubblicato da Bloomberg e ripreso da Die Welt. Il titolo del grafico è “La crescita REALE dell’economia dall’inizio della crisi (2008)”. Lo pubblico e basta , senza ricorrere ad ulteriori commenti, ad analisi, insomma, senza categorie (mie) ideali e ideologiche.
Il grafico dice, semplicemente, che l’Italia, e quindi tutti noi di conseguenza, abbiamo subito una picchiata verso il basso a partire dai governi dei salvatori nominati dalla Commissione Europea attraveso il suo lacché Napolitano (altro che Presidente della Repubblica italiana) : Monti, Letta e Renzi. Qualcuno dei fautori della ripresa e dello spread volatile, ci spiega come mai i professori, i tecnici, i bildeberg riuniti a Cernobbio, i vertici della Bce, i saggi “commissari europei” nominati a “seguire” la svolta (quale, pero ?) italiana non sono stati capaci di far altro che spingerci verso la fossa? E mentre Francia, Spagna, Portogallo, euro o non euro, fiscal compact o non fiscal compact, si stanno risollevando l’Italia invece sta fallendo. Viene da dire che, senza per questo rimpiangerlo un nanosecondo, che la “era Berlusconi” ( e francamente mi torna difficile definirla “era”, diversamente da altri che hanno visto in lui – e qualcuno ancora lo vede – ciò che precedentemente videro in Bettino Craxi , ma quel tipo – che manca – ve ne era una sola che capeggiava sulla misurazione del tempo stampato sul suo giornale “Il popolo” ) forse non era riuscita a mandare del tutto il paese a ramengo.
Ormai ognuno di noi procede e vive grazie al solo fattore dell’inerzia e, purtroppo, serpeggia la disillusione di dover procedere e vivere in questo modo per lungo tempo : alzarsi al mattino per recuperare i denari necessari alla spesa quotidiana, senza avere la forza per prendere una decisione quanto dura quanto necessaria per dire “io non ci stò più !”, senza rendersi conto che quanto prima si avrà la forza ed il coraggio di cambiare rotta, minori saranno le difficoltà da superare per rimettersi in piedi e ripartire.
L’ultimo dispaccio, dal “bollettino di guerra quotidiana”, fa riferimento al numero record di contribuenti che nel 2014 sono ricorsi alla formula di rateizzazione delle tasse.
Sì, perché nonostante i dati sulla chiusura di imprese, sul fallimento di progetti imprenditoriali, sull’esodo del manifatturiero dal nostro Paese, sui suicidi degli imprenditori e sullo “fuga” dei liberi professionisti e della classe media, qualcuno (il potere e la stampa di questo regime) si aggrappava al dato, incomprensibilmente in crescita, delle entrate fiscali negli ultimi anni. Con l’evidenza del fenomeno della rateizzazione delle imposte si rende ormai evidente come la spremitura sia arrivata all’osso , tant’è che il governo Napolitano-Renzi ha deciso di inserire i dati economici della criminalità organizzata nelle “entrate virtuali” per misurare il PIL del Paese .
Se l’economia frena, le aziende chiudono, le famiglie stentano e sono sempre più in difficoltà, tutto ciò non può che ripercuotersi inevitabilmente sul volume delle entrate fiscali. Anche la ricetta allo studio di mettere le mani sui patrimoni sa più di una scelta disperata di chi, attaccato con le unghie ai propri privilegi, non ha il coraggio di cambiare e non trova altra soluzione che cercare di procedere per inerzia, a costo di grattare il fondo del barile di un’economia ormai in ginocchio e di un Pese del quale non si intuiscono più le prospettive politico-economiche future.
Fra le ultime “prese di coscienza” della BCE, guidata dall’italiano Draghi, è quella che si è resa conto che l’agognata ripresa non ci sarà, ricordandoci come tutta l’Europa non navighi in acque tanto migliori dell’Italia, tanto che anche la Germania, la locomotiva d’Europa, ha dovuto riconoscere l’estrema difficoltà a piazzare i propri prodotti sul mercato europeo, dopo avere ampiamente contribuito a dare il colpo di grazia alle economie tentennanti dei Paesi mediterranei (Grecia, Italia, Spagna e Portogallo).
In questo panorama desolante non ci resta che legarci alla nostra terra, custodire gelosamente le nostre memorie e le nostre tradizioni e riscoprirci comunità e, in questo guscio, preparare le basi per ripartire lasciando che i governi italiani nominati dalla Commissione Europea ed i loro cortigiani parlamentari che non sanno neanche mettere in piedi una reale opposizione continuino a far finta di gestire il Paese.
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