Fonte del video http://www.ilgiornaleditalia.org
Ci sono pezzi di storia che restano nell’oblio per lungo tempo e che un giorno, inaspettatamente, tornano alla luce attraverso i ricordi di chi li ha vissuti: era il 30 aprile del 1945 quando il corpo di Benito Mussolini veniva seppellito nel cimitero di Musocco a Milano. Dopo quasi settant’anni arriva una testimonianza diretta di quelle ore.
Renzo Zaccaro non ne ha mai parlato con nessuno: gli dissero che si trattava di un segreto che non avrebbe dovuto rivelare ad anima viva. Oggi, a tanti anni da quegli eventi che costituiscono una brutta pagina della nostra storia, l’uomo decide di parlare e ci concede una testimonianza inedita, che il lettore può trovare anche in video nella rispettiva sezione del nostro portale.
Renzo Zaccaro ha 92 anni, all’epoca dei fatti era un giovane volontario che di anni ne aveva 22. Lo incontriamo a Villa Carpena, la storica dimora della famiglia Mussolini, nei pressi di Predappio.
Ecco la sua testimonianza, ve la rendiamo per intero e senza commenti, che ci riserviamo di fare al termine della vostra lettura: “Dopo settant’anni, finalmente, posso raccontare la vera storia della sepoltura di Mussolini. Erano i giorni della resistenza dei partigiani, io ero un giovane volontario, mi mandarono con un Tenente Cappellano, padre Gregorio, e con il Caporal Maggiore Moggia a raccogliere le salme. Uscimmo con un camion 626 Fiat della Croce Rossa, andammo sul posto e raccogliemmo le salme che dovevamo trasportare all’obitorio centrale di via Poma. Fu difficile effettuare il percorso, perché era il momento in cui avevano da poco staccato dal distributore di benzina i gerarchi, Mussolini e la Petacci. Era un fiume di gente, impossibile passare. Riuscimmo a farci largo a furia di suonare il clacson, con fatica. Per fare un percorso di 3 km impiegammo quasi due ore. Arrivammo al cancello principale di via Poma e i partigiani ci fecero passare. Entrammo. Il Caporal Maggiore fermò il mezzo, il Cappellano scese e andò nell’ufficio del direttore dell’obitorio. Mentre i due erano a colloquio, io e Moggia incuriositi entrammo in uno stanzone pieno di gente, c’erano quelli dell’esercito di liberazione, americani, inglesi, polacchi … scattavano foto in continuazione e per renderle maggiormente evocative misero le salme di Mussolini, di Starace e della Petacci in verticale contro il muro. Abbiamo visto cose incredibili. Mussolini, dopo essere stato appeso a testa in giù, sembrava avesse il capo più grande del corpo, il sangue era sceso evidentemente verso la testa, perché era tutto nero, dal petto alla faccia, un occhio era fuori dalla sua orbita. Per le percosse, per ciò che gli avevano fatto quei ciarlatani lì. Aveva la divisa sconcia, rotta, sbrindellata, una gamba aveva uno stivale su e un altro era nella cassa, non poteva più calzarlo evidentemente. Anche quello della Petacci era un quadro mostruoso … la Petacci … poverina … faceva pena … era tutta come un … un colabrodo, la faccia, irriconoscibile … però tra di noi dicemmo che doveva essere stata una bella donna …
Ci avvicinammo poi alla cassa del povero Starace. Io sapevo che era piccolo, ma così piccolo non pensavo davvero, sembrava che dalla paura si fosse … ristretto … era come un bambino, in quella cassa … piccolo … è diventato piccolo dalla paura, penso io …
Poi scese il Cappellano con il direttore dell’obitorio: ‘signori adesso basta’ disse, e diede l’incarico agli inservienti di chiudere le casse. Sulla cassa di Mussolini, per distinguerla dalle altre due, c’era scritto il nomignolo con cui lo chiamava la Petacci, “BiBi”. Le bare vennero fatte risalire sul camion, in segreto. Il direttore dell’obitorio voleva togliersele dai piedi, era stufo di vedere tutta quella folla venuta ad inveire contro quei poveri morti. ‘Non uscirete dal cancello principale’ ci disse. E ci fece caricare le salme ed uscire da un cancello secondario. Così aggirammo la gente. Quando fummo fuori chiesi al Cappellano dove avremmo dovuto portare le salme. E lui mi disse che eravamo diretti a Musocco, dove già erano pronte le fosse. Per andare a Musocco attraversammo tutta Milano, arrivammo di notte. Anche lì perdemmo tempo, per fare i documenti per l’archivio, all’ingresso. Dopo circa tre quarti d’ora venne un frate … è grande, Musocco, come una città … ci sono due cimiteri, uno dei poveri e uno dei ricchi, il monumentale, dove vanno i benestanti … il frate ci disse di seguirlo. Don Gregorio, il Cappellano militare, venne sul camion e seguimmo il frate al Campo 9, che è appena lì, dall’ingresso del Palatium, a destra. Lì c’erano tre fosse, erano state scavate con la pala, non avevano i bulldozer come ora. Una palata più grossa del normale andò a rompere la cassa di Mussolini, perché erano quattro assi in croce, neanche il peggior barbone va via in quella maniera … senza targa, senza Croce, senza niente … peggio di un barbone, non è possibile una roba del genere … la prima palata insomma ruppe le assi, la terra andò sul petto di Mussolini. Poi andò giù la Petacci e poi Starace. Era buio pesto … facemmo un giro fin sopra il Palatium, salimmo i gradini, depositammo per terra le altre salme. Il Cappellano fece un’orazione funebre, come aveva fatto prima. Uscimmo dal cimitero e dissi al Cappellano: ‘Ma senta un po’, Cappellano, a noi è capitata una cosa più grande di noi, lo vuol capire che abbiamo portato alla sepoltura uno dei più grandi statisti?’. Lui disse che avevo ragione. Andammo poi all’ospedale militare, ci dissero: ‘Ragazzi, rompete le righe, tornate dalle vostre famiglie, la nostra missione è finita’. Da quel giorno noi tre abbiamo mantenuto il segreto, non abbiamo parlato mai con nessuno, non ci siamo più incontrati, non so nemmeno se i miei due compagni di viaggio sono vivi o morti …”
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