martedì 2 settembre 2014

TAGLI AGLI SPRECHI : IL GOVERNO TAGLIA AL “DIRITTO ALLO STUDIO”



Art di Marco Affatigato.


Del resto più si educa all’ignoranza il futuro cittadino , più è facile governarlo
L’Italia è il paese delle “contraddizioni” e della “non logica”: si vuole un Paese educato alla legalità ed al senso civico , si toglie l’educazione civica dall’insegnamento; si vuole un Paese culturalmente forte nel suo complesso e si chiudono i luoghi d’espressione della cultura; si vuole un Paese capace di dar forma a grandi opere d’ingegno e s’impedisce ai “cervelli italiani” nelle università di potersi esprimere, facendoli fuggire all’estero: ogni anno 5mila neo laureati lasciano il Belpaese per l’estero. Ma esiste anche la fuga degli over40, un fenomeno in via di espansione secondo il Centro Studi Cna: tra il 2007 e il 2013 dall’Italia sono emigrati all’estero in 620mila, quasi il doppio rispetto ai 7 anni precedenti (solo nel 2013 hanno varcato i confini oltre 125mila adulti, 79% in più rispetto al 2012). Una lenta ma inesorabile emorragia di competenze, di professionalità e di maestranze, a favore della concorrenza straniera, che porta l’Italia ad essere un Paese autodistruttivo.
Quello che fa soffrire è vedere un Paese in forte crisi che rinuncia a sostenere i propri giovani con l’istruzione e la formazione. La FLC CGIL ha redatto in questi giorni un interessante rapporto che denuncia come nel corso degli ultimi cinque anni le tasse universitarie siano aumentate del 75%. La tassazione media delle università italiane si aggira intorno ai 1.500 euro all’anno per studente. Con picchi più alti negli Atenei del Nord Italia: dai 1.802 euro chiesti dal Politecnico di Milano ai 1.614 della Statale milanese.
Più economiche, invece, le rette nelle università del Sud. A Potenza l’università della Basilicata chiede 490 euro all’anno per studente, mentre a Catanzaro le tasse della Magna Grecia non superano i 532 euro. E questo a causa dei minori trasferimenti statali decisi dai Governi che si sono via via succeduti dal 2009 a oggi.
Si pensi che il Fondo di finanziamento ordinario degli Atenei (Ffo) solo tra il 2012 e il 2013 ha subito, per ragioni di spending review (quello gestito dall’imposto Commissario della Commissione Europea) , un taglio secco del 4,6%; se si guarda al al 2011 la percentuale di minori trasferimenti addirittura balza al -11%.
Se come così non bastasse proprio nei mesi scorsi il governo Napolitano-Renzi aveva tentato il colpaccio, raschiando il fondo del barile con l’ulteriore riduzione di 30 milioni nel 2014 e 45 milioni nel 2015 per le risorse del suddetto fondo. Alla faccia del diritto allo studio!
Nessun parlamentare dell’opposizione (ma esiste ?) ha levato la sua voce in difesa del diritto allo studio . O meglio : nessun parlamentare tout-court . Solamente la levata di scudi da parte della Conferenza dei Rettori delle Università italiane ha evitato il peggio bollando come “insostenibile” la situazione finanziaria determinata dalle continue sforbiciate agli stanziamenti per gli Atenei e denunciando come il finanziamento del diritto allo studio per il 2014-15 è a percentuali ridicole e la copertura dei capaci e meritevoli per l’anno in corso è attorno a una media nazionale del 60%.
A ciò si aggiunga che manca una qualunque politica seria della residenzialità universitaria, la sola che garantirebbe la sostenibilità per le famiglie di studenti che si iscrivono alle Università.
Morale della favola, lo Stato taglia i fondi alle università e queste si rivalgono sulle famiglie, portando a livelli intollerabili il costo dello studio post-diploma.
Non è quindi un caso che l’Italia si ritrovi all’ultimo posto dell’Unione Europea per numero di laureati. Nella fascia fra i 30 e i 34 anni solo il 22,4% ha conseguito il titolo di “dottore”, contro una media Ue del 36,8%. Sopravanzano l’Italia anche la Romania (22,8%), la Croazia (25,6%) e Malta (26%). Ai nostri Atenei spetta perciò la maglia nera nella capacità di sfornare laureati, ma hanno quella rosa nello scaricare i costi dell’istruzione terziaria sugli studenti e sulle loro famiglie.
L’università italiana è tra le più care d’Europa: nella classifica Ocse risultano più costose soltanto Inghilterra e Olanda, ma a fronte di borse di studio per la gran parte degli iscritti, mentre da noi i fondi per il diritto allo studio non arrivano nemmeno al 20% degli studenti.
Insomma, siamo molto lontani dalla media europea per quanto riguarda l’attenzione alla formazione del capitale umano: ma siamo addirittura anni luce dietro alla Scandinavia, dove gli studenti non pagano nulla. In Danimarca e in Svezia chiunque si voglia laureare ha diritto a una borsa di studio di 900 euro al mese: un vero stipendio! E alcuni dei 52 Atenei svedesi sono tra le 100 migliori università del mondo.
C’è da domandarsi cosa sia rimasto dell’afflato pronunciato da Piero Calamandrei, le cui parole risuonano come macigni nel silenzio di un Parlamento intento solo ad autoconservarsi e autoproclamarsi : “…la scuola, come la vedo io, è un organo costituzionale. Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione… La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente” .
Già “la formazione della classe dirigente” , non solamente intesa nel senso di “classe politica”, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla e magari urla anche quando è necessario farsi sentire, che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche e soprattutto quella “classe dirigente” nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle imprese e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, ecc . Questo è il problema della democrazia: la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine come invece si vuole che essa sia oggi e che i nostri Governi, tagliando i fondi all’istruzione, difendono scientemente indebolendo la coltivazione della cultura dei cittadini, rendendoli così docili al destino preconfezionato da pochi: cittadini con bassa scolarità hanno infatti una coscienza civica facilmente manipolabile.

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