Le bande di “Bulow”, composte di partigiani romagnoli e rafforzate di elementi liberati dalle galere dur...ante la marcia verso il Nord, dilagheranno così nelle terre del Basso Brenta, macchiandosi tra l’altro di quell’autentica strage di innocenti disarmati che passerà alla storia come l’“eccidio di Codevigo”.
Arrivati nella zona il 29 aprile 1945 assieme alle truppe della Divisione “Cremona” e al seguito degli Alleati, gli uomini di Boldrini si recano quasi subito a Pescantina e Bussolengo, nel Veronese, dove sanno trovarsi parecchi ravennati appartenenti alle disciolte formazioni della RSI. Si trattava di ragazzi che non avevano fatto del male a nessuno (le loro posizioni erano già state verificate dal CLN locale) e che convivevano in perfetta armonia con la popolazione.
Si trovavano tutti agli arresti domiciliari, con l’unico obbligo di recarsi quotidianamente alla caserma dei carabinieri e al comando del CLN per apporre la loro firma di presenza.
Quando i partigiani di Boldrini arrivano a Pescantina, hanno modo di incontrarsi col partigiano Gino Bassi – un esponente del locale CLN – che si mette subito a disposizione per avvertire i fascisti accasati qua e là che sono arrivati dei corregionali che avrebbero piacere di vederli.
I militi aderiscono con piacere all’invito ma, recatisi in caserma con la speranza di rivedere qualche faccia amica, vengono immediatamente fermati e costretti a salire su dei camion in attesa.
In un solo giorno quelli di “Bulow” prelevano 26 fascisti a Pescantina e 53 a Bussolengo.
Altri 20 militi vengono prelevati dalle baracche vicino all’Adige dai partigiani Zocca e Calligaris del CLN di Bussolengo, caricati su di un camion e consegnati direttamente ai partigiani di Ravenna. Di questi ultimi non si saprà mai più la fine.
Dieci giorni di massacri
I fascisti prelevati dagli uomini di Boldrini vengono immediatamente portati a Codevigo, dove nel frattempo vengono ammassati molti altri militi rastrellati nelle zone limitrofe.
Quivi giunti, dopo essere stati sottoposti a brutali sevizie e depredati di ogni avere, i prigionieri vengono fucilati a gruppetti sulle rive del Brenta e del Bacchiglione.
La corrente si porterà via molti di quei corpi; gli altri verranno invece sepolti sbrigativamente o issati sulle carrette dell’immondezza per essere scaricati nei pressi dei vari cimiteri della zona.
Nella sola Codevigo verranno rinvenute 104 salme (77 in un’unica fossa comune), 17 in un’altra fossa a S. Margherita, 12 a Brenta d’Abbà, 15 a S. Maria, 18 a Ponte di Brenta.
Di ciò che avvenne a Codevigo tra la fine di aprile e il 13 maggio 1945 vi è conferma nel diario del parroco del paese, con Umberto Zavattiero:
«30 aprile. Previo giudizio sommario fu uccisa la maestra Corinna Doardo. Poi furono uccisi con la stessa procedura dai partigiani inquadrati nella divisione “Cremona” altri quattro di Codevigo, tre della brigata nera e uno della milizia: Gino Minorello, Primo Manfrin, Fiore Broccadello, Gerardo Manoli.
Nei giorni susseguenti furono uccisi Silvio Contri, Ludovico Bubola, Angelo Maneo, Farinacci Fontana, Giovanni Cappellato e Antonietta Cappellato (questa perché dicevano avesse fatto la spia a prigionieri inglesi).
Nella prima quindicina di maggio vi fu nelle ore notturne una strage di fascisti importati da fuori, particolarmente da Ravenna. Vi furono circa 130 morti. Venivano seppelliti dagli stessi partigiani di qua e di là per i campi, come le zucche.
Altri cadaveri provenienti da altri paesi furono visti passare per il fiume e andare al mare. Furono uccisi diversi anche a Castelcaro e vennero seppelliti a Brenta d’Abbà.
Meritano un elogio gli uomini che con tanto sacrificio si prestarono per dissotterrare i morti e portarli al cimitero per ivi tumularli».
È rimasto confermato che molte vittime furono inchiodate vive su delle tavole di legno, e dei chiodi vennero anche ritrovati fra le membra dilaniate.
Le foto dei resti di questi infelici, rinvenute presso la pretura di Piove di Sacco, documentano in modo inequivocabile la ferocia che si abbatté su quegli sventurati prima del supplizio finale.
Oltre ai ravennati, si parla di almeno 300 fascisti oriundi di varie parti d’Italia eliminati.
In quei giorni di “caccia al fascista”, particolari attenzioni vengono riservate agli abitanti di Codevigo. Sospetti di simpatie fasciste ed ex appartenenti ai reparti della RSI – segnalati molto spesso per motivi di vendetta personale – vengono prelevati dalle loro case e condotti nella sede del CLN (l’attuale municipio) dove si svolgono i processi contro i fascisti locali.
Presidente del fantomatico tribunale è lo stesso Arrigo Boldrini che ascolta in silenzio le accuse e le menzogne rivolte ai prigionieri e poi, sempre in silenzio, emette il verdetto: pollice in basso, condanna a morte; pollice in alto – ma accade di rado – salvezza.
Ma ancor prima che la sentenza venga pronunciata, gli sgherri di guardia al fianco del “presidente” cominciano a carezzare nervosamente il calcio del mitra.
I condannati vengono poi condotti tra insulti e bastonate al piano terra dell’edificio dove in un’apposita sala hanno luogo pestaggi e torture…
Si trovavano tutti agli arresti domiciliari, con l’unico obbligo di recarsi quotidianamente alla caserma dei carabinieri e al comando del CLN per apporre la loro firma di presenza.
Quando i partigiani di Boldrini arrivano a Pescantina, hanno modo di incontrarsi col partigiano Gino Bassi – un esponente del locale CLN – che si mette subito a disposizione per avvertire i fascisti accasati qua e là che sono arrivati dei corregionali che avrebbero piacere di vederli.
I militi aderiscono con piacere all’invito ma, recatisi in caserma con la speranza di rivedere qualche faccia amica, vengono immediatamente fermati e costretti a salire su dei camion in attesa.
In un solo giorno quelli di “Bulow” prelevano 26 fascisti a Pescantina e 53 a Bussolengo.
Altri 20 militi vengono prelevati dalle baracche vicino all’Adige dai partigiani Zocca e Calligaris del CLN di Bussolengo, caricati su di un camion e consegnati direttamente ai partigiani di Ravenna. Di questi ultimi non si saprà mai più la fine.
Dieci giorni di massacri
I fascisti prelevati dagli uomini di Boldrini vengono immediatamente portati a Codevigo, dove nel frattempo vengono ammassati molti altri militi rastrellati nelle zone limitrofe.
Quivi giunti, dopo essere stati sottoposti a brutali sevizie e depredati di ogni avere, i prigionieri vengono fucilati a gruppetti sulle rive del Brenta e del Bacchiglione.
La corrente si porterà via molti di quei corpi; gli altri verranno invece sepolti sbrigativamente o issati sulle carrette dell’immondezza per essere scaricati nei pressi dei vari cimiteri della zona.
Nella sola Codevigo verranno rinvenute 104 salme (77 in un’unica fossa comune), 17 in un’altra fossa a S. Margherita, 12 a Brenta d’Abbà, 15 a S. Maria, 18 a Ponte di Brenta.
Di ciò che avvenne a Codevigo tra la fine di aprile e il 13 maggio 1945 vi è conferma nel diario del parroco del paese, con Umberto Zavattiero:
«30 aprile. Previo giudizio sommario fu uccisa la maestra Corinna Doardo. Poi furono uccisi con la stessa procedura dai partigiani inquadrati nella divisione “Cremona” altri quattro di Codevigo, tre della brigata nera e uno della milizia: Gino Minorello, Primo Manfrin, Fiore Broccadello, Gerardo Manoli.
Nei giorni susseguenti furono uccisi Silvio Contri, Ludovico Bubola, Angelo Maneo, Farinacci Fontana, Giovanni Cappellato e Antonietta Cappellato (questa perché dicevano avesse fatto la spia a prigionieri inglesi).
Nella prima quindicina di maggio vi fu nelle ore notturne una strage di fascisti importati da fuori, particolarmente da Ravenna. Vi furono circa 130 morti. Venivano seppelliti dagli stessi partigiani di qua e di là per i campi, come le zucche.
Altri cadaveri provenienti da altri paesi furono visti passare per il fiume e andare al mare. Furono uccisi diversi anche a Castelcaro e vennero seppelliti a Brenta d’Abbà.
Meritano un elogio gli uomini che con tanto sacrificio si prestarono per dissotterrare i morti e portarli al cimitero per ivi tumularli».
È rimasto confermato che molte vittime furono inchiodate vive su delle tavole di legno, e dei chiodi vennero anche ritrovati fra le membra dilaniate.
Le foto dei resti di questi infelici, rinvenute presso la pretura di Piove di Sacco, documentano in modo inequivocabile la ferocia che si abbatté su quegli sventurati prima del supplizio finale.
Oltre ai ravennati, si parla di almeno 300 fascisti oriundi di varie parti d’Italia eliminati.
In quei giorni di “caccia al fascista”, particolari attenzioni vengono riservate agli abitanti di Codevigo. Sospetti di simpatie fasciste ed ex appartenenti ai reparti della RSI – segnalati molto spesso per motivi di vendetta personale – vengono prelevati dalle loro case e condotti nella sede del CLN (l’attuale municipio) dove si svolgono i processi contro i fascisti locali.
Presidente del fantomatico tribunale è lo stesso Arrigo Boldrini che ascolta in silenzio le accuse e le menzogne rivolte ai prigionieri e poi, sempre in silenzio, emette il verdetto: pollice in basso, condanna a morte; pollice in alto – ma accade di rado – salvezza.
Ma ancor prima che la sentenza venga pronunciata, gli sgherri di guardia al fianco del “presidente” cominciano a carezzare nervosamente il calcio del mitra.
I condannati vengono poi condotti tra insulti e bastonate al piano terra dell’edificio dove in un’apposita sala hanno luogo pestaggi e torture…