lunedì 30 giugno 2014
I nostri maestri|Corneliu Zelea Codreanu: Il cameratismo, la disciplina e la fede nei capi
Punto 40. Il cameratismo, la disciplina e la fede nei capi
Un’organizzazione non può mai ottenere la vittoria senza l’unità. Le organizzazioni che rivelano una debole unità, il più delle volte si spaccano in due ( o meglio, è il nemico che le spacca con i suoi intrighi) un’ora prima della vittoria e si mettono a lottare tra di loro. A quel punto tutto è perduto. Resta un’unica realtà: la vittoria dell’avversario.
Ogni organizzazione deve quindi assicurare la propria unità. Questa si assicura con due strumenti:
1. con il cameratismo, la forza interiore che unisce tutti i combattenti in una santa fratellanza;
2. con la disciplina, forza esteriore che vincola armonicamente tutte le volontà per la realizzazione del medesimo scopo.
Un capo legionario deve quindi essere disciplinato, deve aver fede nei propri capi. Il cameratismo, la fede nei capi e la disciplina si integrano tra loro per il fatto che le prime due forze procedono dal basso verso l’alto, mentre la terza – la disciplina – procede dall’alto verso il basso, così che l’unità risulta garantita appunto quando gli elementi subordinati potrebbero nutrire opinioni diverse o anche pareri contrari. L’educazione alla disciplina rimane rimane dunque una potente valvola di sicurezza per garantire l’unità e, quindi, la vittoria, nel momento in cui gli altri strumenti si dimostrano esauriti. In qualsiasi circostanza il capo di Cuib dovrà cercare di sviluppare in ogni legionario il senso della disciplina – ed egli otterrà questo specialmente con l’esempio che darà.
Non dobbiamo dimenticare che la disciplina volontaria rivela una essenza spirituale superiore, giacché essa presuppone una rinuncia delle personalità, e ogni rinuncia in vista di un grande scopo riflette una essenza spirituale superiore.
Fonte art.Di
domenica 29 giugno 2014
LEGGETE QUESTA TESTIMONIANZA: ECCO COSA STA SUCCEDENDO IN ITALIA
Movimento Poliziotti.
Lettera aperta tratta da Facebook.
NON SONO UN RAZZISTA MA LO STO DIVENTANDO. Sono un poliziotto e non dovrei e potrei dire queste cose, ma giorno dopo giorno mi sto accorgendo lavorando in strada da quasi 30 anni, che le cose stanno cambiando. SI parla di integrazione e va bene, si parla di rispetto di tutte le religioni e va bene, si parla di rispetto del colore della pelle e va bene, ma l'Italiano chi lo rispetta? Dialoghiamo se...renamente senza eccessi ed esagerazioni di nessun tipo, ma solo con dati di fatto. Lavoro nella mia piccola città, dove i reati non sono molti, ma pur sempre abbiamo a che fare con furti in abitazioni, truffe, violenze di ogni genere e reati meno gravi. Oggi ho chiesto al mio collega che lavora solamente nell'ambito dei reati contro il patrimonio e mi ha confermato che oramai lavorano quasi esclusivamente con gli stranieri non ricordando nemmeno l'ultimo Italiano arrestato. Io stando in strada intervengo per liti, risse e reati di gravità minore e devo confermare che per poter ricordare il nome di un arrestato Italiano devo andare parecchio indietro nel tempo. Mi fermano per strada famiglie Italiane, che mi dicono che sono da anni che aspettano la consegna di un appartamento da parte del comune e stanno in fila , accorgendosi che passano avanti famiglie che ne hanno pieno diritto, ma che fino a "ieri" neanche si trovavano in Italia. Girando per strada mi accorgo che la sporcizia è aumentata e chissà perchè proprio dove ci sono i ritrovi dei soliti mendicanti che se li avvicini la prima cosa che ti dicono è : " CHE VUOI , SEI RAZZISTA?". Potrei scrivere un'enciclopedia di episodi ma voglio fermarmi qui, perchè voglio capire se solo io sto diventando razzista oppure quello che accade attorno a me, me lo invento. Mi prendo come sempre tutte le responsabilità del caso e scrivo da poliziotto ma non rappresento nessuna categoria e quindi neanche la Polizia di Stato. Io ho famiglia e ho sempre detto e scritto quello che penso e credetemi amici di FB, questo mio scritto è un "urlo di aiuto" verso chi dovrebbe frenare questo andamento, altrimenti il razzismo aumenterà a dismisura e poi nessuno potrà dire, NON LO SAPEVAMO, ricordando alle varie istituzioni che LA LEGGE ITALIANA NON AMMETTE IGNORANZA. Se volete condividete e fate girare, chissà che non arrivi dove dovrebbe arrivare. P.S. non esagerate con i commenti, controllero' attentamente ogni commento e non costringetemi a cancellarli. Questa pagina è nata per il dialogo e il rispetto. Grazie a tutti , MAURIZIO.
sabato 28 giugno 2014
Borghezio parla al comandante
Borghezio unico politico ad aver accettato l'invito che non è stato personale ma esteso a tutti.
Rachele, il dolore di una donna
Protagonista silenziosa e discreta di una delle pagine più drammatiche della nostra storia
"Nessuna ingratitudine, nessuna crudeltà umana potranno più raggiungere Benito. Così avrà dato tutto all'Italia, persino la sua vita"
“Così passano le ore in un indicibile tormento, poi le notti, i giorni vedendo solo barbarie fratricida. Ad un certo momento, che non saprei precisare, veniamo fulminati dalla notizia, trasmessa alla radio, del massacro di Dongo. ‘Giustizia è stata fatta’ commentano quelle voci, e penso che nessuna ingratitudine, nessuna crudeltà umana potranno più raggiungere Benito. Così avrà dato tutto all’Italia, persino la sua vita”. Così Rachele Mussolini racconta quelle ore del 28 aprile 1945.
“La notizia dell’omicidio di mio marito aveva distrutto in me ogni volontà. Non sentivo più i rumori dei fucili attorno alla casa. La guerra civile esplodeva ovunque. I miei figli vicino a me piangevano e i loro singhiozzi rendevano ancora più acuta la mia sofferenza; mi sforzavo di lottare contro le lacrime e il dispiacere. Le ore passavano lentamente in quell’atmosfera da incubo”. Sono ore terribili per questa donna, che già tante sofferenze ha dovuto subire. E che pure trova il coraggio di affrontare la tragedia che le ha sconvolto la vita. “L’unica cosa che mi riconforta nel dolore sono le parole di Benito: ‘Gli ideali durano e trionfano al di là della morte, quando sono amati intensamente’”.
Rachele è una donna forte, granitica. Ha vissuto tutta la vita lavorando: donna del popolo dalla nascita, donna del popolo è rimasta per tutta la vita; anche quando era “la moglie del Duce” cuciva i suoi vestiti con le sue mani, educava i suoi figli con il rigore dell’essenzialità, senza lussi, senza fronzoli. L’alta società non l’ha mai affascinata, del resto Benito aveva sempre fatto lo stesso, tutto preso dal lavoro. Gente che conosce la fatica ed il dovere, e il valore del lavoro.
Sono ore tragiche, inimmaginabili per questa donna che da sola deve affrontare un lutto tanto grande, badare a crescere i suoi figli e superare le infamità che le riserverà quel popolo che il Duce aveva sempre servito e al quale aveva sacrificato la sua stessa vita.
“Mi consultai con i ragazzi e fummo d’accordo nel porre termine a quella situazione equivoca, facendo annunciare la nostra presenza al comitato di liberazione di Como – continua a raccontare Rachele – Subito, tre uomini si presentarono per perquisire. M’imposi la calma per non far perdere il coraggio ai miei figli, ma non serbavo più illusioni sulla nostra sorte. L’ispettore esaminò attivamente le mie poche valigie mentre un giovane partigiano s’impossessava di una miniatura di Bruno che non lasciavo mai; chiaramente allettato dalla cornice che gli sembrava d’oro, gridò: ‘Questo appartiene al popolo!’. ‘Tutto appartiene al popolo – risposi io guardandolo negli occhi – ecco perché noi gli abbiamo dato sempre tutto e lui, mio figlio, ha sacrificato la sua vita’. L’ispettore intervenne e mi fece restituire la miniatura scusandosi”.
Rachele fa appello al vescovo di Como, affinché si prenda cura dei figli, ma il prelato si rifiuta di assumersi la responsabilità di ricevere in custodia Romano ed Anna Maria. I ragazzi vengono separati dalla mamma, che viene inviata in una cella del carcere femminile di Como: “Nel disordine che regnava ovunque, il mio arrivo passò inosservato; quelle donne mi guardavano appena, occupate com’erano a raccontarsi per la centesima volta la storia del loro arresto. Una sola, che mi lanciò un’occhiata stupefatta, gridò: “Voi qui?”. Con un gesto la pregai di tacere; si mise a piangere in silenzio. Di quando in quando qualche notizia dall’esterno filtrava fino a noi. Il massacro si estendeva e cresceva con una furia spaventosa. Uomini, donne, bambini, cadevano sotto i colpi degli assassini solo per essere sospettati di essere fascisti. Di tanto in tanto sentivamo risuonare nel cortile un triste appello seguito da una scarica. Poi una pausa in cui scricchiolavano le ruote di una carretta, e l’appello riprendeva. Durò tutta la notte […] In quell’inferno conservavo una calma che stupiva gli altri. Mi chiedevano: ‘Voi non piangete? Non siete stata separata da nessuno?’. Ma il dolore, quando raggiunge il culmine, toglie il sentimento alla realtà […] Visto che Benito non mi avrebbe più rivisto, la morte non mi faceva più paura, ma pensavo ai miei figli, trascinati solo Dio sa dove”.
È il dramma di una donna, una delle più coraggiose che la storia d’Italia ricordi. Che ha portato sulle spalle il peso di una storia tanto grande e che ad essa è sopravvissuta. Il destino, che muove i suoi fili a volte inspiegabilmente, ha voluto lasciarla su questa terra per molti anni ancora, forse affinché potesse raccontare quella storia ed essere prezioso punto di riferimento per chi sarebbe arrivato dopo.
ONORE A DONNA RACHELE!
Art di Emma Moriconi.
Fonte http://www.ilgiornaleditalia.org
venerdì 27 giugno 2014
La sconfitta di Fini: non invitato al centenario di Almirante. Bufera anche sull'assenza della Boldrini
Giorgia Meloni, Ignazio La Russa, Gianni Alemanno e Maurizio Gasparri. Tutti presenti alla cerimonia di festeggiamento dei cent'anni dalla nascita di Giorgio Almirante, Storico segretario del Movimento Sociale Italiano. Solo non si vede Gianfranco Fini. L'ultimo segretario della fiamma, pupillo e delfino del leader della destra, non era presente alla celebrazione, ma non per suo volere. La sedia in più a Montecitorio non è stata messa volutamente. Come riporta Il Giornale, in edicola venerdì 27 giugno, Fini ci ha provato fino all'ultimo. Ha aspettato, ha sperato, poi si è fatto coraggio e ha chiamato direttamente Donna Assunta, presidente della Fondazione Almirante. "Non ho ancora ricevuto l'invito e non capisco perché". E lei: "Te credo che nun l'hai ricevuto. Non te l'ho proprio mandato, ormai non fai più parte della nostra storia".
La figuraccia della Boldrini - Un' altra personalità politica di rilievo doveva essere presente, non certo per accostamenti politici, ma in quanto seconda carica istituzionale dello Stato: Laura Boldrini. Il presidente della Camera non si è presentata e neanche ha avvisato della assenza, non preoccupandosi neanche di inviare un messaggio o un vice in rappresentanza. Ma la figuraccia per le istituzioni l'ha risparmiata Giorgio Napolitano con un bel discorso su Almirante. "Giorgio Almirante è stata espressione di una generazione di leader di partito che, pur da posizioni ideologiche profondamente diverse, hanno saputo confrontarsi mantenendo reciproco rispetto, a dimostrazione di un superiore senso dello Stato che ancora oggi rappresenta un esempio". E ancora: "Egli fu sempre consapevole che solo attraverso il riconoscimento dell'istituzione parlamentare e la concreta partecipazione ai suoi lavori, pur da una posizione di radicale opposizione rispetto ai governi, la forza politica da lui guidata avrebbe potuto trovare una piena legittimazione nel sistema democratico nato dalla Costituzione".
La rabbia della vecchia guardia di Almirante - E quindi se per Napolitano ci sono applausi e ringraziamenti, lo stesso non si può dire per la Boldrini. Il presidente di Montecitorio viene accusata di scarsa ospitalità e di scorrettezza istituzionale. "Non si è presentata - si lamentano gli organizzatori della manifestazione - e non ha nemmeno sentito il bisogno di mandare uno dei vicepresidenti". Giorgia Meloni è inferocita. "È gravissima l'assenza della presidente - si sfoga - che non solo non ha ritenuto di far partecipare almeno un suo vice in rappresentanza dell'assemblea di Montecitorio, ma non si è neanche degnata di inviare un messaggio di saluto. Per fortuna lo ha fatto il presidente della Repubblica, che a differenza della Boldrini sa cosa significhi rappresentare un'istituzione e sa anche chi era Giorgio Almirante". Maurizio Gasparri se ne fa una ragione: "Boldrini non ha portato il saluto al convegno su Almirante. Non ne era degna. Comunque ha sbagliato".
Fonte art.
http://www.liberoquotidiano.it
L'orgoglio e la coerenza di un uomo che non ha mai rinnegato
“Nel nostro operare di italiani, cittadini e combattenti, noi siamo esclusivamente e gelosamente fascisti”
Giorgio Almirante e il suo fascismo, vissuto in trincea e in democrazia.
“Nel nostro operare di italiani, di cittadini, di combattenti - nel nostro credere, obbedire e combattere – noi siamo esclusivamente e gelosamente fascisti”. Un pensiero molto chiaro e diretto questo di Giorgio Almirante, che unito ad un altro suo conosciutissimo motto - “Non rinnegare, né restaurare” - aiuta a comprendere lo spirito di un uomo che, dopo aver attraversato un periodo in cui principi, ideali e valori si vivevano completamente e in ogni aspetto dell'esistenza, ha saputo trasportare lo stile di vita e di pensiero nel quale era stato educato e cresciuto in tempi diversi che, sotto alcuni punti di vista, non necessariamente possono essere considerati migliori.
E' stato fascista Almirante. Lo è stato, come quasi tutta l'Italia di allora, durante i vent'anni del Regime. Lo è stato allo scoppio della guerra, quando richiamato come ufficiale di fanteria e destinato a compiti non di prima linea, chiese di andare come volontario in Africa Settentrionale e qui, oltre a svolgere con competenza la sua missione giornalistica di corrispondente dal fronte, si guadagnò, combattendo, una croce al merito di guerra.
Lo è stato dopo l'8 settembre, nella Repubblica Sociale Italiana, alla quale aderì arruolandosi volontario nella Guardia Nazionale Repubblicana. Ed ancora lo è stato quando, a Salò, venne prima incaricato di sovrintendere alle intercettazioni radio, poi nominato capo gabinetto del Ministero della Cultura Popolare e Attendente di Mussolini ed in seguito tenente della Brigata nera Autonoma Ministeriale, una veste in cui fu impegnato nella lotta contro i partigiani (anche se, come riportato da diverse fonti, il suo gruppo non partecipò mai a scontri a fuoco diretti) ma anche e soprattutto nel non facile ruolo di responsabile del Nucleo di propaganda.
E' stato dunque fascista Almirante. Con una convinzione che, a differenza dei molti hanno in seguito per convenienza rinnegato la loro adesione, gli ha sempre permesso di andare avanti a testa alta nel progetto di traghettare quell'ideale in cui ha sempre creduto nell'Italia del dopoguerra. Aggiornandolo nelle forme e nei modi. Rinnovandolo nell'espressione in modo da trasmetterlo e renderlo comprensibile anche a chi non l'aveva vissuto in prima persona. Facendolo vivere nel comportamento coerente e corretto che anche gli avversari gli hanno sempre riconosciuto.
Fonte art.
Tanto paga Pantalone.
Pasti buttati a centinaia nel centro di prima accoglienza di Pozzallo. Il sindaco Ammatuna: "Ho appreso solo da voi della scandalosa vicenda"
Le foto che vedete a lato e sotto l´articolo e che ci sono state concesse da un volontario del centro di prima accoglienza di Pozzallo dicono tutto: centinaia di piatti di pasta e carne ancora sigillati e caldi di cottura buttati nei cassonetti della spazzatura all’interno della stessa struttura che ospita i clandestini degli sbarchi. Anche la frutta fresca finisce tra i rifiuti. Se si tiene conto che questa scandalosa situazione dura da parecchi giorni e che i pasti buttati costano 15 euro al giorno per ciascun migrante, l’entità dello spreco è evidente e suona come uno schiaffo a chi magari non ha di che vivere. Perché i pasti in più finiscono nei cassonetti invece di essere destinati ad altri centri o a persone bisognose che non hanno nulla da mangiare? E’ il comune di Pozzallo a gestire la situazione con denaro pubblico sotto la supervisione della Prefettura, ma il sindaco Luigi Ammatuna (nella foto con il cibo buttato nei cassonetti) ha appreso da noi l’incredibile vicenda: "Non ne sapevo nulla. Resto quantomeno sorpreso, farò gli opportuni controlli".
Nessuna risposta al telefono invece dal responsabile del centro. Lo scandaloso spreco non è dovuto solo al numero di pasti sovrastimati e quotidianamente ordinati dal comune alla ditta con sede a Ispica che ha in appalto il servizio, ma anche ai gusti degli stessi clandestini, molti dei quali si rivelano schizzinosi e preferiscono mangiare nei locali pubblici, in quanto il cibo servito al Cpa non è di loro gradimento. Restano queste immagini che colpiscono con la stessa forza di un pugno allo stomaco, soprattutto in questi tempi difficili che costringono un po’ tutti a tirare la cinghia.
Nessuna risposta al telefono invece dal responsabile del centro. Lo scandaloso spreco non è dovuto solo al numero di pasti sovrastimati e quotidianamente ordinati dal comune alla ditta con sede a Ispica che ha in appalto il servizio, ma anche ai gusti degli stessi clandestini, molti dei quali si rivelano schizzinosi e preferiscono mangiare nei locali pubblici, in quanto il cibo servito al Cpa non è di loro gradimento. Restano queste immagini che colpiscono con la stessa forza di un pugno allo stomaco, soprattutto in questi tempi difficili che costringono un po’ tutti a tirare la cinghia.
Fonte art.
giovedì 26 giugno 2014
Avanguardia, una eredità schierata in prima linea, come sempre e per sempre…
di Mario M. Merlino
Le note dell’inno di Avanguardia Nazionale, la Panzerlied, tratte da una memorabile scena del film La battaglia dei giganti, si levano si diffondono coinvolgono i presenti nell’ampia sala ove, di prassi, si suona e si insegna a ballare il tango argentino. Qualcuno si azzarda con la prima strofa ‘sui monti nel ciel sulle strade e sul mar…’. Un po’ stonato la voce fattasi roca da anni taciuto il coro tende a dare anima ai ricordi alle battaglie intraprese alla giovinezza che s’accompagnò e che i capelli ingrigiti le rughe qualche acciacco di troppo sembravano aver spento. In piedi, in cerchio, ritmando le singole strofe con il battito del piede. E la sala è addobbata da bandiere una nera una rossa in alternanza con la runa nel cerchio bianco. Un popolo, una comunità si stringe, all’ombra dei suoi simboli, intorno al Comandante a quel ‘piccolo grande uomo’ che ancora una volta, come sempre del resto, è riuscito ad imporre le sue decisioni questo incontro nonostante le tante – sovente più che legittime – preoccupazioni di tempi resi troppo brevi di scarsezza di mezzi di capacità organizzative fattesi desuete. C’è la vecchia guardia da Belluno Trieste Brescia e Bergamo attraverso Roma e Littoria in Calabria Puglia Sicilia. Giovani militanti di diverse realtà romane e non solo. A sera musica…
Ci si aspettava un numero superiore, soprattutto di giovani, di quei giovani a cui sottintende e si esplicita l’intervento di Stefano. Un sabato dove il caldo ha riconquistato il sopravvento dopo giorni di pioggia. Un corteo per qualcosa contro qualcuno. Forse delle conferenze. E, poi, questo è il 21 giugno solstizio d’estate, giorno d’ebbrezza e di passioni, di roghi e magici cerchi, e diverse comunità sono andate ad arrampicarsi in montagna e darsi momentaneo rifugio in qualche bosco. Penso come fu Adriano Romualdi e Peppe Dimitri, in tempi successivi l’uno dall’altro, a chiedere di celebrare i due solstizi, mito rinnovato delle genti arye da intendere come rinascita di un’Europa soffocata da mefitici venti d’occidente e d’oriente, di vivere le emozioni sempre e comunque libere e, soprattutto, sempre antecedenti ad ogni ragionamento.
(Il filosofo Hegel, in una fortunata considerazione, operò la distinzione tra i giovani e i vecchi in quanto, in questi ultimi, si raccoglieva la saggezza di aver e poter contemplare il vissuto, cosa questa impedita ai primi. Ciò corrispondeva all’impianto del suo sistema concettuale. Stronzate. Bene ha fatto, dunque, Stefano a sottolineare che, sì, si possono mettere in evidenza le numerose e gravi ‘pecche’ nel comportamento di oggi di tanti e troppi giovani, ma è pur vero che sovente dietro l’apparente saggezza del mondo adulto si nasconde tanta e troppa viltà. E chi ha vissuto come scelta il ruolo di docente lo sa bene. Non è mai il vincitore, nonostante si senta detentore del sapere, ma ad altri affida – ‘senza onore né gloria’ – quel senso della conoscenza che è il metro d’ogni esperire, in altre menti ed altre mani il fiorire di quanto ha seminato – ‘nel campo tuo fiorirà la mia speranza’ scrive il poeta François Villon –. Mettersi al servizio, altra considerazione di Stefano, di tutti coloro che vorranno ascoltare la nostra storia, le idee che abbiamo coltivato, i progetti per edificare le ragioni del cambiamento, avere il medesimo cuore di questa comunità che ha l’orgoglio la fede la fedeltà di ritrovarsi dopo oltre cinquant’anni dalla sua fondazione).
L’appello ai caduti, il Presente a quelli che ci hanno preceduto e che sono in spirito accanto alle nostre battaglie, alla vita di tutti i giorni, marciare serrati e sereni per andare sempre avanti, sempre oltre. Qualcuno vorrebbe stendere il braccio nel saluto romano, ma ogni rito con i suoi simboli vuole rappresentare una scelta, una identità. Così si porta il braccio destro verso il cuore con la mano a pugno. Non si rinnegano certo le radici da cui si è tratta la linfa vitale attraverso quella testimonianza di uomini e donne che ci educarono a tentare d’essere noi stessi ‘grandi’. Non volgiamo loro le spalle, non è in noi la cultura del rinnegato, l’eredità di valori e di sangue di cui un popolo si nutre ci appartiene. Soltanto abbiamo scelto di salpare, mettere in mare un fragile battello dalle vele runiche, simile a nordico ed antico drakkar, perché ogni generazione avverte come le circostanze e il tempo impongono confrontarsi superarsi e, poi, proprio nella concezione più ardita autentica irriverente – per intendersi lo squadrismo della prima ora, il volontariato esaltante e tragico della RSI – c’è questo tacito invito. Dunque tornare alle origini per correre incontro al futuro…
Come da programma, Stefano indica le ragioni di questo incontro – a me piace definirlo, con garbata affettuosa ironia, una sorta di ‘canto del cigno’ e la memoria va, dove il confronto non ha da essere, si badi bene, al teatro Lirico, Milano, 16 dicembre 1944. La volontà di consegnare, idealmente e attraverso un reiterato impegno per chi intenda non ritrarsi, gli uomini non le idee vanno in pensione, nel proprio guscio di nobili ricordi, il testimone alle nuove generazioni. Affermava l’imperatore e re di Spagna Carlo V che, se in battaglia, cadeva la bandiera e il proprio cavallo, egli avrebbe prima raccolto la bandiera e poi rialzato il cavallo… Veniamo da battaglie che ci videro sconfitti ma mai tentennare sui principi perché tenemmo ferma la barra verso la meta senza lasciarci intimorire o deviare dall’onda e dal vento. Detto altrimenti, sfuggendo al personale incedere tra metafore e citazioni, saper distinguere la strategia dalla tattica. Solo così i possibili compromessi non decadono in svendita o resa o peggio. Perché si ha la consapevolezza interiore fin dove ci si può spingere – lo spazio del qui ed ora – senza mai intaccare il fine – il luogo del sempre –.
La storia di Avanguardia, dal 1960 in poi, evidenzia lo sforzo di definirsi capace di interpretare la realtà e di operare in essa quale presenza attiva nelle dinamiche ove lo scontro con l’esistente si fa più manifesto. Uscire dall’isolamento politico e, al contempo, dal rischio di un impegno di mera contrapposizione concettuale. A dimostrazione di ciò, quasi a premessa, il Comandante – sabato e domenica così l’abbiamo sentito chiamare dopo che lo appellavamo, con affetto e rispetto, ‘il Caccola’ – ha proposto tre momenti di questa lotta per combattere il sistema nella sua interezza. Brevi relazioni, tenute da chi visse quelle esperienze, su Valle Giulia la rivolta di Reggio Calabria il tentativo di golpe del principe Borghese. Il ’68 inteso quale rivolta generazionale oltre le ideologie e contro l’imperio dei partiti; l’unica autentica manifestazione di rivolta popolare da cui, simile ad un cerino acceso su un covone di paglia, Reggio avrebbe rappresentato il suo estendersi su tutto il territorio nazionale; la frattura radicale con le forme parlamentari del sistema democratico tramite una azione di tipo militare ove il ruolo dei militanti di Avanguardia era non soltanto di supportare con le proprie giovanili energie ma di fornire l’humus ideale e dottrinario… Il consuntivo sotto il segno della sconfitta, che non equivale al fallimento, in quanto furono obiettivi ambiziosi rispetto alle forze avverse in campo. Mi viene a mente, prometto essere l’ultima citazione, come sugli stendardi di Guglielmo il Taciturno campeggiasse il motto: ‘Non occorre riuscire per perseverare né sperare per intraprendere’…
Tanti gli interventi, un dibattito a testimoniare che non apparteniamo alla ‘terra dei morti’. Due giorni che sono stati anche occasione per camerati di re-incontrarsi dopo anni in cui la vita ha trascinato molti di noi in città diverse famiglia lavoro e scoprire che, nonostante ciò, sembrasse ieri il distacco. Poi, a sera, dopo una frugale cena tanta musica ‘alternativa’ – la musica che predispone l’animo forte a ritrovarsi, ieri come oggi, schierato in prima linea, come sempre e per sempre…
Fonte art.
http://www.ereticamente.net
Tra pregiudizi e realtà. La manifestazione di Forza Nuova vista da un comunista. VIDEO: Intervista a Roberto Fiore
Sabato, ore 18.00 Catania. In una piazza Roma bagnata dal primo temporale estivo, si riuniscono i primi militanti di Forza Nuova, per la maggior parte ragazzi. Con uno di loro ci stringiamo la mano e mi racconta che per dieci anni è stato volontario alla Croce Rossa. Confesso di rimanere un po’ stupito perché anche io, forse, porto con me una buona dose di pregiudizi ideologici. Tutta roba da rottamare, insomma. Intanto mentre faccio qualche foto, vedo dei “curiosi” dei centri sociali, dall’altra parte della strada. Mentre continuiamo a parlare, iniziano a scattare dei primi piani. Vogliono schedarli? E con quale autorità? Manifestare liberamente la propria opinione non è ancora lecito per tutti? A sentire le polemiche dal gusto antico e dal retrobottega novecentesco, in Italia, in Sicilia e a Catania ancora no. Del resto è la rete antifascista, cugina dell’antimafia, che da noi distribuisce le carte della legalità. Non ho visto nessuna scortesia e nessun gesto che potesse lontanamente turbare la vista dei benpensanti salottisti, che sempre più spesso ritrovo in luoghi a me cari. Non ho visto sfilare, come ho visto in “processioni di altre parrocchie” nemmeno gruppi di potere. Non ho visto camicie nere (tutti vestiti in camicia bianca) e soprattutto nessun passamontagna. Ah certo, siamo a giugno e fa caldo … eppure oggi è piovuto. Dimenticavo: non ho sentito cori razzisti e non ho sentito messaggi subliminali. Nemmeno dalle parole di Giuseppe Bonanno Conti, dirigente nazionale e responsabile provinciale di Forza Nuova, che ho intervistato.
“L’ immigrazione è una tragedia e oggi sta diventando una vera e propria invasione. Noi siamo stanchi, quando dico noi, dico non solo Forza Nuova ma anche i cittadini italiani. Non si può sopportare il peso e l’arrivo di 3.000 clandestini al giorno. Significa solo in questo anno: un milione di clandestini. Non possiamo accoglierli e non vogliamo accoglierli. Non c’è motivo per cui dobbiamo sobbarcarci questa enorme tragedia. L’operazione Mare Nostrum, cento milioni di euro previsti, ma saranno tanti di più che se ne spenderanno, sarebbero bastati, dico per metafora, a fare l’Africa nuova. Si potevano fare tante case, tanti ospedali, tanti aeroporti, tante scuole. Si potrebbe aiutare questa gente a progredire lì. Invece si preferisce farli venire qui, fari accampare nelle nostre strade. Abbiamo pubblicato anche dei reportage fotografici dove centinaia di africani in piazza della Repubblica bivaccano la notte con le tende, e ci domandiamo se sia una cosa normale che uomini vengano qui con delle promesse da marinaio e poi si ritrovano a dover stare senza nessuna speranza, danneggiando la popolazione locale che già è alla disperazione e alla povertà e, trovandosi in condizioni veramente disagiate e inumane.
Critiche che avete ricevuto per questa manifestazione …
“Le critiche sono strumentali, la sinistra non ha niente da dire e ogni volta che c’è una manifestazione di Forza Nuova trova la forza di mobilitarsi contro lo spauracchio fascista e xenofobo o razzista. Noi di razzista non abbiamo niente, noi amiamo la nostra terra e la vogliamo difendere da questa disgrazia, da questa alluvione. Non riteniamo giusta l’immigrazione né per chi la effettua e né per chi la riceve. Quindi non c’è niente di razzista. Preferiremmo che l’Africa diventasse una grande potenza per come merita di diventare.
http://tweetpress.it
mercoledì 25 giugno 2014
LE STRAGI DIMENTICATE.... ASSASSINI ANCHE DELLA VERITÀ
http://www.italia-rsi.org/
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