domenica 14 febbraio 2016

“Sergio Ramelli: una storia che fa ancora paura”


CHI ERA SERGIO Sergio era un ragazzo di 18 anni, studiava all’Istituto tecnico Molinari di Milano, aveva una ragazza, tifava Inter e giocava a calcio. Sergio era un ragazzo come tanti, con gusti, abitudini e pensieri simili a quelli di tutti i suoi coetanei, ma con una fondamentale differenza, quella di aver fatto una scelta di campo scomoda e di aver avuto il coraggio delle sue idee. «Aveva maturato le sue idee politiche di destra - racconta la madre - e non amava la violenza. Non aveva mai fatto male a nessuno, ma era stato preso ugualmente di mira. A scuola (gli estremisti di sinistra) lo insultavano, lo prendevano a calci... eppure lui mi diceva sempre di non preoccuparmi». L’aggressione «Il 13 marzo 1975, verso le ore 13, Ramelli Sergio, stava appoggiando il motorino poco oltre l’angolo con via Paladini nei pressi della sua abitazione. Veniva aggredito da alcuni giovani armati di chiavi inglesi: il ragazzo, dopo aver tentato disperatamente di difendersi proteggendosi il capo con le mani ed urlando, veniva colpito più volte e lasciato a terra esanime. Alcuni passanti lo soccorrevano e veniva ricoverato al reparto Beretta del Policlinico per trauma cranico (più esattamente ampie fratture con affondamento di vasti frammenti), ferita lacero-contusa del cuoio capelluto con fuoriuscita di sostanza cerebrale e stato comatoso. Nelle settimane successive alternava a lunghi periodi di incoscienza brevi tratti di lucidità e decedeva il 29 aprile1975».Perché tanta ferocia? «In relazione ai motivi dell’aggressione si è potuto accertare che tali motivi erano da ricercarsi nel fatto che il Ramelli ERA UN GIOVANE DI DESTRA, già oggetto di pesanti e continue intimidazioni all’Istituto Molinari, che egli frequentava quale studente, da parte di altri studenti della sinistra extraparlamentare soverchianti per numero all’interno dell’Istituto». 47 giorni durò la sua agonia «Non dimenticherò mai per tutta la vita quando l’hanno portato all’ospedale - racconta la mamma. - Gli amici di Sergio non potevano neppure andarlo a trovare perché il Policlinico è proprio di fronte all’Università Statale e i rossi erano sempre lì davanti. Un giorno incontrai anche l’anestesista e mi dichiarò che non aveva mai visto nulla di così spaventoso». Il funerale«Non è questa l’italia per la quale ho combattuto, questa non è un’Italia né libera né democratica», è la frase urlata da un sacerdote ex partigiano e rende l’idea del clima in cui si svolsero i funerali di Sergio. La situazione in città era così tesa - a causa delle minacce di nuove violenze da parte dei gruppi di sinistra - che la Questura cercò di farli svolgere in segreto, arrivando poi a vietare il corteo funebre, fino al punto di far “cacciare” dalla polizia familiari e amici davanti all’Obitorio. Tra lo sgomento e l’incredulità generale, per rispetto a Sergio e ai suoi genitori, tutti i presenti decisero di muoversi alla spicciolata verso la chiesa trasportando a braccia le molte corone e i mazzi di fiori, formando egualmente una sorta di corteo funebre, ma... senza il morto. La salma di Sergio arrivò più tardi alla chiesa, attesa da centinaia di persone, sotto scorta delle “volanti” a sirene spiegate! Vale la pena di ricordare che la solerzia della polizia nel vietare il corteo funebre non fu eguale nell’impedire che, dalle finestre della facoltà di Medicina, di fronte all’Obitorio, alcuni studenti di Avanguardia Operaia, con il viso coperto, fotografassero i partecipanti al funerale. Le immagini furono ritrovate nel covo di via Bligny catalogate come “piangono per un fascista morto”. I colpevoli Sergio era stato aggredito alle spalle, a freddo, senza avere la possibilità di difendersi, con ferocia inaudita. A identificare i suoi aggressori si giunse solo dopo 10 anni e solo grazie alle rivelazioni di alcuni pentiti di terrorismo. Si scoprì, così, che a colpire Ramelli erano stati membri del servizio d’ordine di Avanguardia Operaia della facoltà di Medicina, futuri medici che sapevano bene dove colpire. Nessuno di loro conosceva Sergio, lo identificarono grazie alla “foto segnaletica” scattata da un “compagno” di scuola. Colpirono seguendo la fredda logica di morte dell’antifascismo militante.IL COMMANDO L’agguato fu studiato nei minimini particolari: una “staffetta”, Brunella Colombelli, fece ripetuti sopralluoghi. Il commando omicida era composto da 8 persone: 6 si posero «in copertura agli angoli delle strade perché Sergio non potesse fuggire o ricevere aiuto». Due lo colpirono ripetutatamente al cranio con pesanti chiavi inglesi Hazet 36 “quaranta centimetri di acciaio”... L’ANTIFASCISMO MILITANTE Scrivono i giudici Grigo e Salvini: «In realtà l’antifascismo militante è stata una parola d’ordine agitata dai dirigenti della nuova sinistra per raccogliere consensi, mobilitando giovani e giovanissimi in una campagna “facile”. L’obiettivo, al di là della retorica, era liquidare la presenza della destra politica, come anello più debole di un sistema che si intendeva comunque cambiare in modo rivoluzionario». Il processo Il 17 marzo 1987 iniziò il processo contro gli assassini di Sergio divenuti, nel frattempo, tranquilli medici, con famiglie e comode posizioni, oppure esponenti politici dell’ultra sinistra... Tra i processati anche Saverio Ferrari, responsabile del servizio d’ordine di AO, artefice del gigantesco archivio di schedature ritrovato in via Bligny e condannato per l’assalto al bar Porto di Classe, in cui rimasero ferite 7 persone di cui 3 riportarono menomazioni permanenti.Dall’interrogatorio di Marco Costa «Ramelli capisce, si protegge la testa con le mani. Ha il viso scoperto e io posso colpirlo al viso. Ma temo di sfregiarlo, di spezzargli i denti. Gli tiro giù le mani e lo colpisco al capo con la chiave inglese. Lui non è stordito, si mette a correre. Si trova il motorino tra i piedi e inciampa. Io cado con lui, lo colpisco un’altra volta. Non so dove: al corpo, alle gambe. Non so. Una signora urla “Basta, lasciatelo stare, così lo ammazzate”. Scappo e dovevo essere l’ultimo a scappare». Dall’interrogatorio di Giuseppe Ferrari Bravo «Luigi (Montinari) si avvicinò e mi disse che Ramelli era morto. Quando ci ritrovammo a casa di Montinari cercai di calmare tutti, ricordai loro che alle manifestazioni centinaia di persone gridavano “morte ai fascisti”». Gli imputati secondo i giudici Grigo e Salvini Sono: «in difficoltà nell’accettare pienamente il “lato buio” della loro militanza (e cioè, in sintesi, l’assenza del principio di tolleranza delle idee altrui, anche se molto diverse). Gli imputati, che pur hanno ammesso i fatti, portatori di una cultura medio-alta, persone attente e certamente lettori di quotidiani, dimostrano tuttavia un modestissimo grado di comprensione di quanto accadeva in quegli anni». e secondo il Pubblico Ministero, Maria Luisa Dameno Si tratta di persone: «la cui testa non ragionava più perché un giorno decisero di conferirla all’organizzazione che pensava e decideva per loro».Il 22 gennaio 1990, la I sezione della Corte di Cassazione, conferma la sentenza di condanna per OMICIDIO VOLONTARIO e infligge le seguenti pene: COSTA (11 anni e 4 mesi), FERRARI BRAVO (10 anni e 10 mesi), COLOSIO (7 anni e 9 mesi), BELPIEDE (7 anni), CASTELLI, COLOMBELLI, MONTINARI e SCAZZA (6 anni e 3 mesi). Tuttavia, del gruppo che assassinò Sergio Ramelli, solo Costa e Ferrari Bravo tornarono effettivamente in carcere scontando ancora un periodo di detenzione prima di passare, l’uno all’affidamento sociale e, l’altro, alla semi-libertà. Tutti gli altri, tra condoni e regimi limitati o sotitutivi, RIMASERO IN LIBERTA’... Nel suo nome «In nome di una pacificazione nazionale che accomuni in un’unica pietà i morti di un periodo oscuro della nostra storia e come monito alle generazioni future affinché simili fatti non debbano più accadere». Con questa motivazione fu approvata la prima via dedicata a Sergio, nel 1988, a Verona. Oggi sono più di 20 le intitolazioni in tutta Italia. Eccole: VERONA - 1988 - via CODOGNO (LO) - 2001 - via CHIETI - 2002 - terrazzo belvedere TAURIANOVA (RC) - 2002 - via OSPEDALETTI (IM) - 2002 - largo COMO - 2003 - lungolgo AREZZO - 2003 - via ROVIGO - 2003 - via SANREMO - 2003 - via TOLVE (PZ) - 2004 - giardini comunali CROTONE - 2005 - via VIGEVANO - 2005 - via MILANO - 2005 - giardini pubblici MODENA - 2007 - via MONZA - 2008 - giardini pubblici DESIO (MB) - 2009 - via RAGUSA - 2009 - via CASALPUSTERLENGO (LO) È impossibile enumerare tutte le iniziative che, negli anni, hanno commemorato la sua figura: migliaia di volantini e manifesti, concerti, dibattiti, cortei, intitolazioni, tornei di calcio e anche: un libro, uscito in 7 edizioni e diffuso in oltre 25.000 copie; un’opera teatrale rappresentata per 5 anni in tutti i maggiori teatri e un documentario-inchiesta. Fonte Art= http://www.sergioramelli.it/wp-content/uploads/2015/03/06_Nel-suo-nome1.pdf ...e Mario Capanna non ha pagato per il suo assassinio ...anzi vive coi "privilegi" dello Stato italiano ....come tanti altri assassini di nostri camerati ...

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