Con l'approssimarsi del 25 aprile il popolo italiano torna a dividersi. L'ho scritto: se lo spirito e la vocazione di una festa nazionale sono quelli di unire, allora certe feste, (il 25 aprile, il 1 maggio ed il 2 giugno), andrebbero cancellate, perché hanno un significato schiettamente di parte. Risultato: ci scappa sempre la polemica!
A mio modo di vedere, però, è quanto meno paradossale che in questo caso la polemica venga più da "sinistra" che da "destra". D'accordo, da parte di quest'ultima ci sono state affissioni sui i muri delle città, richieste di contraddittorio alle conferenze pubbliche, trattazioni a tema e quant'altro; ma i toni sono aspri e livorosi principalmente dalla parte opposta della barricata. Basta leggere le reazioni indignate e violente dei partigiani di oggi e di ieri. "Sono solo provocazioni fasciste" , "sono insulti alla resistenza", "sono offese alla democrazia e alla libertà" e baggianate simili.
Ma quali insulti? Ma quali provocazioni? Mi sa che i signori non hanno capito l'atteggiamento mio e di tanti altri che la pensano come me. Allora, forse, sarà il caso di chiarire.
Da queste parti ci rifiutiamo di celebrare una guerra che l'Italia ha perso. Non vogliamo osannare una guerra civile, che in alcune parti d'Italia ha avuto strascichi anche dopo la fine della guerra. Non ci sentiamo figli di un clima d'odio politico e di un modo infame, vigliacco e persino illecito di combattere, che ha causato decine di migliaia di morti, spesso civili innocenti, (e qui l'elenco sarebbe piuttosto lungo!). Non ci riconosciamo in una data che ha privato il nostro Paese della sovranità nazionale, esponendolo ieri ai venti provenienti dall'Atlantico o dagli Urali ed affogandolo oggi nella cloaca europeista.
Vogliamo semplicemente dire a tutti come sono andate le cose, ossia in un modo molto meno onorevole e romanzato di quanto tradizionalmente si racconta. Ci piacerebbe poter credere ancora in quei valori di Patria, di Identità, di Onore e di senso del Dovere, che con il 25 aprile sono stati esiliati dal Belpaese ed umiliati. Desideriamo essere idealmente vicini ed onorare la memoria di quei ragazzi, di quelle ragazze, di quegli uomini e di quelle donne che, nella maggior parte dei casi, si sono arruolati volontariamente nell'esercito della Repubblica Sociale Italiana, sapendo di andare incontro a morte certa, per rispetto alla parola data, per difendere l'Idea, per tenere alto il prestigio dell'Italia. Quei ragazzi che, come scrisse in dialetto romano Mario Castellacci, si dissero "Repubblicani e no Repubblichini" e si "davano coraggio e sentimento con l'ombre d'Orazio ar Ponte e de Mazzini"; che erano "Camerati ossia fratelli d'Itaja, ognuno in fila su la traccia de sù padre, e der padre de su' padre"; che rinnegavano "le gentacce ladre, i Maramaldi, i vili, i vortafaccia, li cacasotto e i servi dei bordelli"; e che pensavano: "La guerra è persa? E' disparo er confronto? E' finita? Nun vojo sapè gnente. Me 'nteressa l'onore solamente. E si me tocca da morì, so pronto".
Quegli uomini e quei ragazzi noi li consideriamo eroi, per il loro spirito e per la loro capacità di saper difendere le loro scelte anche a prezzo della propria vita. Ci riconosciamo in loro e, al tempo stesso, vorremmo essere all'altezza delle loro gesta e dei loro sogni. Sogni che non sono morti e non moriranno mai, finché riusciremo a tenere in vita la loro memoria, finché verrà tenuto presente l'esempio, finché ci sarà una "corrispondenza d'amorosi sensi".
Continuate pure ad aggredirci e ad attaccarci; tanto lo fate da decenni... Ma non aspettatevi di fiaccarci nel nostro intento, né di farci cambiare idea. Qui non si parla solo di storia; si parla di rispetto, di fedeltà e di onore. Parole che, forse, a voi suoneranno strane. Ma che a noi suonano molto meno strane della vostra fantomatica "demokrazia" e della vostra inesistente libertà di non si sa cosa e da non si sa cosa.
A mio modo di vedere, però, è quanto meno paradossale che in questo caso la polemica venga più da "sinistra" che da "destra". D'accordo, da parte di quest'ultima ci sono state affissioni sui i muri delle città, richieste di contraddittorio alle conferenze pubbliche, trattazioni a tema e quant'altro; ma i toni sono aspri e livorosi principalmente dalla parte opposta della barricata. Basta leggere le reazioni indignate e violente dei partigiani di oggi e di ieri. "Sono solo provocazioni fasciste" , "sono insulti alla resistenza", "sono offese alla democrazia e alla libertà" e baggianate simili.
Ma quali insulti? Ma quali provocazioni? Mi sa che i signori non hanno capito l'atteggiamento mio e di tanti altri che la pensano come me. Allora, forse, sarà il caso di chiarire.
Da queste parti ci rifiutiamo di celebrare una guerra che l'Italia ha perso. Non vogliamo osannare una guerra civile, che in alcune parti d'Italia ha avuto strascichi anche dopo la fine della guerra. Non ci sentiamo figli di un clima d'odio politico e di un modo infame, vigliacco e persino illecito di combattere, che ha causato decine di migliaia di morti, spesso civili innocenti, (e qui l'elenco sarebbe piuttosto lungo!). Non ci riconosciamo in una data che ha privato il nostro Paese della sovranità nazionale, esponendolo ieri ai venti provenienti dall'Atlantico o dagli Urali ed affogandolo oggi nella cloaca europeista.
Vogliamo semplicemente dire a tutti come sono andate le cose, ossia in un modo molto meno onorevole e romanzato di quanto tradizionalmente si racconta. Ci piacerebbe poter credere ancora in quei valori di Patria, di Identità, di Onore e di senso del Dovere, che con il 25 aprile sono stati esiliati dal Belpaese ed umiliati. Desideriamo essere idealmente vicini ed onorare la memoria di quei ragazzi, di quelle ragazze, di quegli uomini e di quelle donne che, nella maggior parte dei casi, si sono arruolati volontariamente nell'esercito della Repubblica Sociale Italiana, sapendo di andare incontro a morte certa, per rispetto alla parola data, per difendere l'Idea, per tenere alto il prestigio dell'Italia. Quei ragazzi che, come scrisse in dialetto romano Mario Castellacci, si dissero "Repubblicani e no Repubblichini" e si "davano coraggio e sentimento con l'ombre d'Orazio ar Ponte e de Mazzini"; che erano "Camerati ossia fratelli d'Itaja, ognuno in fila su la traccia de sù padre, e der padre de su' padre"; che rinnegavano "le gentacce ladre, i Maramaldi, i vili, i vortafaccia, li cacasotto e i servi dei bordelli"; e che pensavano: "La guerra è persa? E' disparo er confronto? E' finita? Nun vojo sapè gnente. Me 'nteressa l'onore solamente. E si me tocca da morì, so pronto".
Quegli uomini e quei ragazzi noi li consideriamo eroi, per il loro spirito e per la loro capacità di saper difendere le loro scelte anche a prezzo della propria vita. Ci riconosciamo in loro e, al tempo stesso, vorremmo essere all'altezza delle loro gesta e dei loro sogni. Sogni che non sono morti e non moriranno mai, finché riusciremo a tenere in vita la loro memoria, finché verrà tenuto presente l'esempio, finché ci sarà una "corrispondenza d'amorosi sensi".
Continuate pure ad aggredirci e ad attaccarci; tanto lo fate da decenni... Ma non aspettatevi di fiaccarci nel nostro intento, né di farci cambiare idea. Qui non si parla solo di storia; si parla di rispetto, di fedeltà e di onore. Parole che, forse, a voi suoneranno strane. Ma che a noi suonano molto meno strane della vostra fantomatica "demokrazia" e della vostra inesistente libertà di non si sa cosa e da non si sa cosa.
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